La cultura nascosta palestinese, con le sue meraviglie e le sue ferite più profonde
In questo periodo, nonostante il momento storico particolare, per l’Europa ma anche in tanti altri paesi del mondo, si festeggia il natale e si saluta l’anno appena trascorso. Ed è sempre un pretesto per stare tutti insieme, riabbracciare parenti che non si frequentano durante l’anno, ma non solo. Si riaprono quegli scatoloni impolverati, pieni di cultura. Ci sono canzoni che passano alla radio per quasi un mese e che hanno avuto un successo mondiale, film in ogni lingua e richiami letterari da ogni angolo del mondo. Ma è davvero così per tutti? Il racconto di oggi è sulla cultura nascosta palestinese, le sue meraviglie e le sue ferite più profonde.
La Palestina e i palestinesi hanno un’identità culturale nazionale, araba e umana basata sui valori della conoscenza, della libertà, della virtù e della bellezza. Un’identità culturale aperta ed evoluta, che rispetta e mantiene il pluralismo intellettuale, politico e religioso. Si tratta di un patrimonio materiale e morale tale per cui il senso di appartenenza dei palestinesi si basa sui valori di uguaglianza e libertà. Quando parliamo di cultura palestinese difficilmente ci viene in mente qualcosa che non riguardi la nascita dello Stato di Israele e l’occupazione della Palestina.
In realtà, la cultura palestinese è una cultura millenaria, culla di tradizioni che hanno influenzato molti gruppi umani. Un aspetto fondamentale, ad esempio, è quello della religione, acquisito in gran parte del mondo. Esistono oltre due miliardi di cristiani: quasi un terzo dell’umanità crede nei valori che si sono creati in Palestina. Esiste anche il gruppo ebraico, che crede in una religione nata in questo territorio ed un miliardo e mezzo di musulmani, che prendono parte a questo sistema di valori e credenze. Senza dimenticare che uno dei sistemi di scrittura più diffusi al mondo, quello alfanumerico, nasce proprio in Palestina. Questi sono solo alcuni tra gli esempi per sostenere che non esiste una cultura così isolata da sembrare estranea. Nel caso della cultura palestinese possiamo dire che condivide parte delle sue radici, con almeno metà dell’umanità.
Le condizioni culturali e il rischio dovuto all’occupazione
Tuttavia la cultura palestinese è messa a rischio quotidianamente dall’occupazione. Gli intellettuali, per esempio, vivono in una situazione di discriminazione perché le condizioni in cui vivono, non permettono loro di operare socialmente. Condizioni diverse, ma pur sempre di discriminazione, sono quelle in cui si trova la comunità culturale palestinese che vive nei territori dello stato d’Israele, visto che non ha accesso ai finanziamenti. Ma non si tratta solo di questo. Anche per le tradizioni più antiche, come racconta in un’intervista ad InvictaPalestina, la 102enne Victoria Baseer residente nel villaggio di Taybeh in Cisgiordania: l’animo è cambiato.
Ogni anno sua madre, racconta Victoria, cucinava il Maftool, il famoso piatto palestinese simile per consistenza al couscous. Avrebbe preparato anche un tipo speciale di dolce, la cui ricetta ora è stata dimenticata, e sostituita dai tradizionali dolcetti occidentali.
Nonostante la semplicità delle celebrazioni natalizie del passato, la purezza e la vera felicità che regnavano tra le famiglie palestinesi a Natale sono scomparse dopo la Nakba del 1948, quando centinaia di migliaia di persone sono fuggite o sono state scacciate dalle loro terre dai gruppi paramilitari ebraici durante il conflitto a cui seguì la spartizione della Palestina storica, portando alla creazione di Israele.
“Il Natale è trascorso in silenzio per anni – le famiglie del villaggio si rifiutarono di gioire e di distribuire dolci. Abbiamo appeso bandiere nere sulle nostre case e abbiamo vissuto nella costante paura di un attacco al villaggio, che era diventato un rifugio per gli uomini che combattevano contro l’occupazione “. Victoria Baseer.
Ci sarà un giorno in cui torneranno a suonare le campane in tutti i villaggi palestinesi, dove verranno abbassate le bandiere nere e la paura non busserà più a nessuna porta.
Giulia Marchiò