Sentir parlare di delitto d’onore in Palestina è tutt’altro che inusuale. La necessità palestinese di modificare lo stampo chiuso e patriarcale della tradizione spesso si scontra con una cultura che vede ancora, in molte zone della Palestina, le donne relegate in un angolo privo di potere decisionale. A questo si aggiunge un meccanismo di violenza circolare, che scarica sulle donne e sui bambini la potenza distruttiva dell’occupazione dei territori palestinesi da parte di Israele. In particolare, sulla striscia di Gaza, le donne subiscono una violenza maggiore rispetto ad altre zone della Palestina a causa delle restrizioni maggiori. A Gaza, molti difensori dei diritti umani hanno notato, però, che ad un aumento della violenza corrisponde anche un aumento dei divorzi ed una maggiore consapevolezza dei proprio diritti. Diversa è la situazione in Cisgiordania dove questo sistema di stampo patriarcale risulta discordante con l’indipendenza che molte donne hanno ormai raggiunto in termini di lavoro e studio. Donne ormai, letteralmente in prima fila, per combattere e affrontare i soldati israeliani durante le demolizioni e gli attacchi in Cisgiordania.
Senza girarci troppo intorno, il delitto d’onore è un femminicidio giustificato dal voler salvaguardare il buon nome della famiglia, disonorato dai comportamenti peccaminosi di un membro femminile. Ad ostacolare la vita di queste donne, che hanno scelto liberamente chi essere e chi amare. Gli uomini solitamente agiscono in gruppo: padri, fratelli o cugini per cui il buon nome è più importante di una vita.
Solo nel 2019 circa 20 donne palestinesi sono state vittime di delitto d’onore. Tra queste, il caso mediatico che ha fatto più scalpore e sollevato un grido di dissenso internazionale, è stato sicuramente quello di Israa Gharib, giovane estetista di 21 anni e studentessa universitaria originaria di Beit Sahour, vicino a Betlemme. La sua famiglia aveva dichiarato che la sua morte fosse avvenuta per cause naturali, più precisamente provocata da Ictus. Amici e attivisti, però, non credendo nell’accaduto hanno preteso un’indagine pubblica per la morte di Israa. Dall’indagine è stato reso noto che Israa è stata spinta dal secondo piano della sua abitazione, fratturandosi la colonna vertebrale. Poche settimane dopo, un video girato in ospedale, riprendeva il clan della famiglia di Israa mentre la picchiava, chiarendo ogni dubbio sulla realtà del caso.
Subito dopo il caso di Israa Gharib, il primo ministro palestinese Mohammad Chtayyeh aveva chiesto il “rafforzamento del sistema legislativo a protezione delle donne palestinesi”. Si ritiene erroneamente che il delitto d’onore sia di vecchia impostazione coranica. In realtà le radici dei “crimini di passione” approdano nella cultura Medio Orientale nel 1810, con il codice napoleonico, in cui il delitto passionale era ampliamente giustificato da parte del marito nei confronti della donna adultera e dell’amante. Non si permetteva invece alla moglie tradita di uccidere il marito. Questo codice diede l’impronta alla legislazione di alcuni paesi arabi e musulmani, soprattutto quelli sui quali la Francia ha esercitato un controllo coloniale come Algeria, Marocco, Tunisia, Siria, Libano e Giordania. Con il controllo giordano sulla Cisgiordania e Gerusalemme Est, il delitto d’onore è entrato anche nel codice penale palestinese del 1960. L’articolo 99 contempla la possibilità per i giudici di ridurre la pena in modo considerevole qualora si presentino «circostanze attenuanti».
È chiaro come tale giustificazione sia una consuetudine, che ha portato alla morte di Israa e di tante altre donne sia in Palestina che in Israele. Questo costante modo di operare viene considerato un escamotage grazie al quale la polizia israeliana può eludere le indagini. Infatti, nei casi di omicidi di donne arabo israeliane, solo il 20% degli autori viene ritenuto realmente responsabile dalle autorità, poiché il bias – pregiudizio – culturale e la discriminazione interna al paese motiva questi eventi inserendoli nella categoria delle “consuetudini arabe”.
Questo sistema di violenza e discriminazione continua ad escludere le donne, inserendole in un sistema di violenza, su cui si poggiano entrambi i paesi. Fin quando il delitto d’onore verrà considerato una possibilità nell’ordinamento palestinese, non vi sarà una reale apertura del paese e in questo modo verrà negato un possibile progresso.
Come recita lo slogan delle attiviste palestinesi per la liberazione delle donne nei territori occupanti: “Non esiste un paese libero senza donne libere”.
Carolina Lambiase