“Qui scorrono latte e miele”. È così che da secoli in molti descrivono la Palestina. Una regione situata in una posizione geograficamente favorevole, tanto da permettere il confluire di diversi climi e vegetazioni. Nel 1926 Nikolai Vavilov, botanico e agronomo, descrive questo luogo come uno degli otto centri più importanti per la coltivazione e la varietà di specie vegetali: tra queste, secondo lui, le più importanti sono quelle dei cereali, alberi da frutto e ortaggi.
La vegetazione del territorio palestinese varia secondo le regioni, passando da un clima mediterraneo ad uno più arido e persino desertico. In questa zona si concentra il 3% della biodiversità globale, con circa 2.076 tipologie differenti di flora, tra cui varietà di piante come il pistacchio, i limoni, gli aranci, il grano e l’ulivo.
In particolare, quando si pensa all’agricoltura palestinese, viene in mente subito la coltura dell’olivo, ma in pochi sanno che di uguale importanza è quella della vite. In questa terra la tradizione agricola della vite risale fino ai tempi dei Cananei e rappresenta oggi un patrimonio culturale, simbolo della tradizione palestinese.
In tutta la Palestina ci sono circa 50 specie d’uva differenti di cui 15 si trovano solo a Betlemme. L’uva è una tra le tante importanti risorse dell’agricoltura palestinese che, in una terra così fertile, è naturale la propensione da parte di questo popolo d’origine contadina a prendersene cura. La coltivazione della terra è, infatti, per i palestinesi simbolo di vita.
Il settore agricolo rappresenta il 30% del PIL dell’Autorità Nazionale Palestinese in Cisgiordania ed è il primo settore dove chi ha necessità di un reddito minimo si rifugia. Tuttavia, va sottolineata l’effettiva arretratezza dei mezzi e delle tecnologie utilizzate e pertanto la rendita del territorio è insufficiente per coprire il fabbisogno interno. Oltre a ciò, le varie politiche di annessione e di appropriazione terriera da parte di Israele hanno costretto i contadini palestinesi, guardiani della propria terra, ad abbandonarla. La forzata emigrazione di questa forza lavoro dal primo settore agrario è andata a confluire nel mercato del lavoro israeliano e/o palestinese, mettendo a rischio anche la sicurezza alimentare di questo popolo.
Per comprendere ancora meglio l’importanza di questo settore, il Ministero dell’Istruzione ha introdotto dal 2017 la materia agricoltura nel curriculum scolastico palestinese. Molti sono anche i progetti portati avanti da diverse ONG nei territori occupati come quello dell’ong italiana Cric. Quest’ultima mira a dare agli studenti le capacità pratiche relative al settore agricolo attraverso un approccio sostenibile, insegnando ai ragazzi a fare di “necessità virtù” in aree dove coltivare risulta difficile. Di fatto, in questo lembo di terra le risorse naturali dei territori stanno scarseggiando a causa di un insieme di fattori che vanno dal conflitto, dell’uso di metodi di coltivazione arretrati fino alle politiche di sfruttamento e appropriazione israeliane.
L’introduzione a questo nuovo capitolo dedicato all’ulivo è uno dei temi cardine per comprendere non solo le politiche espansionistiche israeliane, ma anche la cultura, conoscenza e dignità del popolo palestinese. Conoscere e riconoscere le ricchezze palestinesi aiuta tutti noi a risvegliare le nostre coscienze, a rafforzare la necessità di proteggere e custodire le risorse naturali, le quali sono essenziali per la nostra sopravvivenza su questo pianeta. Come disse il poeta Mahmud Darwish ”Su questa terra esiste qualcosa per cui vale la pena vivere: il ritorno di aprile, il profumo del pane all’alba, il punto di vista di una donna sugli uomini, l’inizio dell’amore, l’erba su una pietra, le madri in piedi sul filo di un flauto e la memoria che impaurisce gli invasori.”