Poco importa quale fosse lo sport praticato da bambino o quello che si segue per passione trasmessa dalla propria famiglia. Fuso orario a parte, i Giochi Olimpici diventano catalizzatori di emozioni e di sano patriottismo. Tokyo 2020 sa anche un po’ di rinascita – tentata per lo meno. Il posticipo di un anno ancora mostra vividi e tangibili i segni di un mondo a cinque cerchi toccato dalla pandemia.
La partecipazione palestinese ai Giochi Olimpici
Atletica, judo, nuoto e sollevamento del peso: queste le quattro discipline sportive che vedranno la partecipazione di cinque atleti palestinesi, con allenatori e capo delegazione. Un team di 11 persone a onorare la bandiera di un Paese riconosciuto membro del Consiglio Olimpico d’ Asia dal 1986 e del Comitato Olimpico Internazionale dal 1995, decretandone la sua partecipazione a tutte le edizioni dei Giochi, da Atlanta 1996 in poi.
Clima di fratellanza sportiva non scevra da connotati politici intrinseci in quel conflitto israelo-palestinese che si è riacceso proprio a ridosso dell’evento quadriennale.
Luci e ombre
Da una parte si intravedono luci di speranza. Per la prima volta dopo quarant’anni, si è deciso di commemorare ufficialmente la strage di Monaco 1972, quando undici atleti israeliani vennero presi in ostaggio nel villaggio olimpico e uccisi dall’organizzazione terroristica palestinese Settembre Nero. Un minuto di silenzio atteso e richiesto con coraggio dalle famiglie delle vittime a cui finalmente si è dato riscontro.
Ma anche l’altra faccia della medaglia, ahimè non di metallo prezioso. Nel 2011 i Comitati Olimpici israeliano e palestinese firmarono uno storico accordo per ospitare gli atleti palestinesi nelle strutture federali israeliane in preparazione ai Giochi Olimpici di Londra 2012, e garantire libera circolazione nel territorio per impegni sportivi. Dieci anni dopo la strada dello sport per la Palestina rimane comunque costellata di fatiche. Mancanza di attrezzi moderni per gli allenamenti e restrizioni negli spostamenti costringono ancora gli atleti palestinesi a trovare rifugio fuori dai confini della propria terra. La speranza è di portare avanti un sogno, olimpico ma non solo.
Ecco allora che Mohammad Hamada, primo sollevatore di pesi palestinese a partecipare ad una competizione olimpica, viaggia verso Tokyo dopo settimane di allenamento in Qatar. Ha lasciato Gaza, terra natia dagli accessi controllati, per evitare che conflitti e blocchi dell’ultimo minuto per una conclamata quanto perentoria “questione di sicurezza” facessero vacillare la corsa verso l’Olimpiade. Per Asad Al-Majdalawi, presidente del comitato olimpico palestinese, già questa è una vittoria. Così come la partecipazione degli altri quattro atleti provenienti da Gerusalemme Est e dalla Cisgiordania occupata, oltre che dal Nord America.
La Palestina esiste
Ad immolarsi per la causa palestinese è stato il judoka algerino Fethi Nourine. Il 24 giugno si è rifiutato di competere contro Tohar Butbul, atleta israeliano. Lo ha fatto in nome di una questione politica che a detta dell’algerino non poteva essere messa in secondo piano rispetto all’evento sportivo. Plauso all’intento. Ma la sospensione di atleta e allenatore da parte della Federazione Internazionale Judo, con ferma condanna dell’atto, ne sottolinea la discrasia tra i valori di solidarietà e di non-discriminazione che i Giochi e la disciplina sportiva portano avanti, nonché la scelta di anteporre la lotta politica contro lo Stato israeliano alla rivalità sul campo da gioco. Una distruzione dello sforzo comune, verrebbe da dire.
Forse il gesto sportivamente estremo dell’algerino a qualcosa ha contribuito.
Londra 2012: Maher Abu Rmeileh, primo judoka palestinese a qualificarsi per merito ad un’Olimpiade, dichiarò al The Guardian che, al di là della prestazione, la sua presenza era sufficiente per ricordare al mondo intero che la Palestina e i Palestinesi esistono.
Intanto il 24 giugno un giovane palestinese muore. Era stato ferito dalle forze israeliane durante una dura repressione di una protesta contro gli insediamenti illegali in Cisgiordania.
Che la pace olimpica non rimanga tra le mura del villaggio internazionale.