“Mandato di breve periodo, esattamente di tre anni rinnovabili“. Questo si evinceva nella Risoluzione 302 (IV) dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite l’8 dicembre 1949, decretando l’istituzione dell’UNRWA (United Nations Relief and Work Agency for Palestine Refugees in the Near East), l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi del Vicino Oriente, volta a rispondere al dramma piaga dei rifugiati palestinesi dopo le conseguenze della guerra arabo-israeliana del 1948.
Nata come organo sussidiario dell’Assemblea Generale, mancante di un proprio statuto e di un comitato esecutivo al contrario dell’altro colosso ONU per la protezione dei rifugiati (UNHCR, l’Alto Commissariato della Nazioni Unite per i rifugiati), l’UNRWA rivelò ben presto quello che certamente non sarebbe stata: un mezzo creato ad hoc per la causa palestinese e destinato a dissolversi in poco tempo a compimento del suo mandato, come inizialmente previsto. Certo, la sua durata temporanea è rimasta elemento cardine nelle risoluzioni dell’Assemblea Generale che ne regolano l’avvicendamento, ma dopo oltre 70 anni di storia l’estensione del suo mandato è diventata una sorta di prassi.
Nel dicembre 2019 l’Assemblea Generale ne ha riconfermato la crucialità, prolungandone l’intervento nelle 5 aree geografiche di competenza – Gaza, Cisgiordania, Giordania, Siria e Libano – fino al 2023.
E questa mutevole durata, unita ad un ampliamento della definizione del suo target – “rifugiati palestinesi” – per rispondere alle vulnerabilità identificate nelle popolazioni affette dal conflitto residenti nelle zone di intervento dell’Agenzia, rispecchia in un certo senso anche i connotati del mandato: l’UNRWA non ha solo un ruolo di assistenza umanitaria. Il suo focus iniziale di soccorso temporaneo (relief) si era già esteso verso interventi di più lungo termine dopo le raccomandazioni ricevute dall’Economic Survey Mission, che incoraggiava l’istituzione di progetti di sviluppo su larga scala per sostenere i rifugiati palestinesi negli Stati ospitanti. Tra le varie comunicazioni ufficiali che ne hanno meglio definito il mandato, il comunicato del Segretario Generale dell’ONU pubblicato il 20 febbraio 2000 ne rimarcava il carattere umanitario per natura, includendo nuovamente una componente di sviluppo implementata attraverso i suoi tre programmi principali – educazione, salute e soccorso, servizi sociali. Lo stesso comunicato sottolineava ancora una volta l’appello lanciato nel 1993 all’Agenzia, incoraggiata ad apportare un contributo decisivo verso un nuovo impeto alla stabilità economica e sociale dei territori occupati, poi ridefiniti come “tutte le aree geografiche di intervento dell’Agenzia”. Microfinanza e miglioramento dei campi profughi e infrastrutture sono state ulteriori voci menzionate nel programma finanziario del 2020. A questi elementi si aggiungono un chiaro mandato di protection nei confronti dei Palestinesi, con un focus specifico sui rifugiati, e un’azione a favore dello human development, come definito dal Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP).
Da queste diverse modifiche del mandato si evince nell’UNRWA un connubio tra assistenza umanitaria e sviluppo. Parrebbe una mera questione operativa, che definisce per uso interno le aree di intervento a seconda delle necessità individuate sul terreno: un estendersi del raggio d’azione in base all’evolversi della situazione socio-politica in Palestina e negli altri territori di operazione dell’Agenzia. Nella realtà dei fatti, invece, questo mutevole e ambivalente mandato si inserisce a pieno regime nel dibattito acuitosi intorno agli anni ’90 rispetto alla relazione tra soccorso e assistenza umanitaria da una parte e sviluppo dall’altra. Per fare chiarezza ed intervenire a colmare il gap esistente tra i due diversi approcci, Kocks e altri studiosi identificarono gli elementi caratterizzanti di ognuno. Tali studi hanno evidenziato la giustapposizione ideal-tipica tra un mandato di breve periodo e incondizionato dell’assistenza umanitaria da una parte, e il modus operandi di lungo periodo e condizionato della cooperazione internazionale allo sviluppo dall’altra. Quest’ultima, a maggior ragione, si identifica come sottesa alle logiche di partenariato con il Paese target a cui appartiene la ownership e alla strategia finanziaria e programmatica dei donatori internazionali a livello multilaterale e bilaterale.
Applicandone i connotati all’operato dell’Agenzia, l’UNRWA rimane umanitaria in natura, in quanto quattro sono i principi umanitari cardine sui quali i suoi interventi sono basati: imparzialità, ovvero un’azione esercitata sulla base della necessità affrontando i casi più urgenti senza discriminazioni; neutralità, ossia astensione dal prendere parte nei conflitti tra fazioni politiche; indipendenza, cioè autonomia dagli obiettivi politici, economici e militari che altri attori potrebbero portare avanti nelle medesima area di intervento; e umanità, con l’unanime scopo di porre fine alla sofferenza umana.
Ma se si vanno ad analizzare le fattispecie dei suoi programmi, primo fra tutti quello incentrato sull’education e sull’ health care, non si può eludere il loro stretto legame con il programma di sviluppo che gli Stati ospitanti, i rifugiati palestinesi e le altre popolazioni “target” stanno portando avanti, così come i contatti con l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina e il suo processo di “costruzione della nazione” (nation-building process).
Programmi paralleli o integrativi rispetto alle strategie statali e parastatali? I confini si rivelano spesso sfumati. Lo stesso Commissario Generale dell’UNRWA, Krähenbühl, riconoscendo il significativo operato dell’Agenzia, ha allo stesso tempo evidenziato l’incapacità della comunità internazionale di trovare una giusta e definitiva soluzione al dramma dei rifugiati palestinesi. A questo si aggiunge un’altra critica questione dopo i settant’anni di storia dell’Agenzia: può implicitamente essere considerata anche quest’ultima una soluzione “tampone” per gli Stati ospitanti, che le attribuiscono strictu sensu il ruolo di erogatore di servizi per la comunità più vulnerabile?
La domanda rimane aperta. Nel mentre, malgrado il sistema di finanziamento volontario ponga infinite sfide ad una lineare operatività delle sue attività, UNRWA continua a fornire supporto a più di cinque milioni di persone, in quell’intricato spazio tra l’umanitario e lo sviluppo.