Programma di sviluppo sostenibile
Nonostante l’occupazione e le numerose e continue violazioni dei diritti umani, lo Stato di Palestina si è impegnato a lavorare a un programma di sviluppo sostenibile in linea con l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Tuttavia, la realizzazione di questi obiettivi rimarrà estremamente difficile finché il popolo palestinese non potrà esercitare il suo diritto all’autodeterminazione. Infatti, il concetto di sostenibilità è inestricabilmente legato all’indipendenza. Un’occupazione militare ostacola l’esercizio della sovranità, compreso lo sfruttamento delle risorse naturali, e ostacola lo sviluppo sostenibile. Mentre l’undicesimo degli obiettivi principali mira a rendere le città e gli insediamenti umani più inclusivi, sicuri, resilienti e sostenibili, l’Agenda 2030 non ha menzionato l’indipendenza e la liberazione nazionale per riflettere un contesto in cui una società affronta l’occupazione militare del popolo palestinese.
L’Agenda 2030 riconosce il diritto del popolo all’autodeterminazione, senza però fornirlo di mezzi per attuare questo diritto. Pertanto, ai fini dell’attuazione dell’Agenda 2030, lo Stato di Palestina percepisce che ci dovrebbe essere un obiettivo in più, oltre ai 17 stabiliti nel documento ufficiale, che ponga le basi per il consolidamento dello Stato indipendente di Palestina sui confini del 1967, con Gerusalemme Est come capitale.
Il 75% dei palestinesi vive in aree urbanizzate dove c’è una carenza di più di 70.000 unità abitative e un bisogno di 13.000 case in più all’anno, con apice Gerusalemme Est, dove c’è una costante carenza di oltre 10.000 abitazioni all’anno.
Il problema dell’occupazione
Nello stesso momento in cui l’Occupazione israeliana demolisce gli edifici palestinesi e pone ostacoli e impedimenti al rilascio dei permessi di costruzione, approva le licenze per costruire migliaia di unità abitative negli insediamenti israeliani sulla terra palestinese di Gerusalemme. Inoltre, le autorità di occupazione ostacolano qualsiasi espansione edilizia palestinese, specialmente nelle zone di Gerusalemme e dintorni e in Cisgiordania.
La politica di annessione e isolamento delle comunità palestinesi trae la sua forza dagli ordini militari che sfruttano i palestinesi e confiscano le loro terre. Durante il corso del 2017, l’occupazione israeliana ha approvato la confisca di oltre 2.100 terre di proprietà palestinese, conosciute come dunham, così come la confisca di 852 dunham in Cisgiordania. Le misure israeliane sono una delle ragioni principali del declino dei terreni agricoli in Cisgiordania.
Mentre l’Autorità Palestinese non ha alcun programma orientato a trovare alloggi disponibili per i palestinesi, le classi povere, medie e i giovani che intendono creare una famiglia sono quelli che soffrono di più.
L’amministrazione dei campi profughi palestinesi ricade sotto la responsabilità dell’Autorità palestinese e dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione. Questi due enti non fanno abbastanza per lo sviluppo di infrastrutture né di reti idriche ed elettriche, nonostante la loro scarsa qualità e il fatto che raccolgano tasse dirette e indirette dai profughi palestinesi, senza contare che i campi profughi pullulano di edifici pericolosi a causa della mancanza di criteri infrastrutturali adeguati e soffrono di sovraffollamento.
Prospettive future e intervento del governo
Il futuro dei palestinesi sta nell’emancipazione dall’occupazione “israeliana”, nella sovranità sulle loro terre e nel controllo delle loro capacità e risorse naturali. Nonostante le carenze dell’Agenda 2030 nel trattare le questioni dell’autodeterminazione, della liberazione nazionale e dell’indipendenza, l’obiettivo numero 16 (sulla pace, la giustizia e le istituzioni forti) insieme all’11 (sulle città e le comunità sostenibili) forniscono alla comunità internazionale le basi per difendere il diritto dei palestinesi a realizzare i loro obiettivi nazionali e soprattutto a trovare un modo di far fronte all’occupazione. Questo contribuirà a dare speranza alle generazioni future, e a costruire prospettive di sviluppo e prosperità che consentano di vivere in dignità e libertà.
Risolvere la questione non è facile e richiede un pacchetto di soluzioni dove sarà in primo luogo necessario soddisfare i bisogni fondamentali delle comunità palestinese, garantendo un ambiente più sostenibile. Ad esempio, migliorare le strutture pubbliche, specialmente il sistema stradale, e migliorare l’accesso ai servizi potrebbe essere un buon punto di partenza.
Ma cosa può fare il governo palestinese a riguardo? Sicuramente concentrarsi sull’attuazione degli obiettivi Agenda 2030 che sono in linea con quella politica nazionale ma anche sviluppare un sistema nazionale di reporting sull’implementazione degli stessi obiettivi di sviluppo sostenibile. Questo sarà abbinato a una revisione annuale, in collaborazione con tutte le parti interessate, cercando anche di rafforzare il ruolo dei media e dell’opinione pubblica.
In particolare, per quanto riguarda le comunità sostenibili, la priorità rimane aggiornare e adottare il profilo abitativo, la politica nazionale degli alloggi e la strategia di alloggi a prezzi accessibili.
Come dimostrano i dati, l’adeguatezza delle strutture abitative è enormemente peggiorata dall’occupazione israeliana, compresa l’espansione degli insediamenti e la demolizione delle abitazioni. Il caso più significativo di queste abitazioni irregolari è quello dei campi profughi palestinesi che, con il passare del tempo, sono diventati permanenti, sovraffollati e mal serviti.
Anche l’urbanizzazione resta un settore a rischio. Rimane una priorità migliorare la politica urbana nazionale. Dall’istituzione dell’Autorità Palestinese e il successivo processo di costruzione dello stato, l’urbanizzazione in Palestina è cresciuta costantemente. Si prevede che la popolazione in Palestina raggiungerà i 6 milioni di persone entro il 2030, di cui 5,3 milioni vivranno nelle aree urbane. La scarsità di terra e la frammentazione spaziale, combinate con la rapida crescita urbana e lo sviluppo ineguale all’interno della Palestina, hanno aumentato la pressione sulle autorità locali.
La maggior parte dei terreni nelle città sono di proprietà privata, tuttavia alcuni tentativi di utilizzare appezzamenti di proprietà delle autorità locali sono riusciti a creare spazi pubblici nelle comunità, come piccoli parchi all’aperto.
Di conseguenza, permane un divario tra la crescita urbana attualmente in corso e la pianificazione e lo sviluppo di città vivibili e ben funzionanti che soddisfino i bisogni dei cittadini.
Sicuramente, l’occupazione è stato uno dei fattori aggravanti.
Maria Rosa Milanese