“I never expected I would go from one war into another, from bombardment to bombardment, from displacement to displacement and from refuge to refuge”
Samar Aita, studentessa palestinese in Ucraina
Queste sono le parole di Samar Aita, studentessa palestinese risiedente in Ucraina al momento dell’invasione russa lo scorso 24 febbraio. Come lei, tanti altri credevano impensabile l’avvento di un ulteriore conflitto in Europa. Al contrario, la guerra è arrivata e ha portato con sé la sua estrema devastazione, così come le sue contraddizioni e assurdità.
La paura delle bombe, della distruzione, della morte, ha generato un’ondata di circa 2 milioni di rifugiati che hanno lasciato l’Ucraina in solo 12 giorni, secondo le stime del UNHCR. Non tutti, però, sembrano aver ricevuto lo stesso trattamento. Come confermato dallo UN Rapporteur on Racism and Xenophobia, al confine ucraino-polacco le persone sono state categorizzate in base alla loro identità razziale ed etnica. Coloro non riconosciuti come “ucraini” venivano frequentemente respinti verso il territorio ucraino, esponendoli in questo modo a un rischio maggiore di morte.
Tra i profughi “non-ucraini” rientrano anche quei palestinesi che avevano fatto dell’Ucraina la loro casa, temporanea o permanente. La rivista + 972 Magazine ha raccolto le testimonianze di alcuni studenti palestinesi che, nel tentativo di fuggire dal conflitto, sono stati bloccati al confine ucraino-polacco. Mentre i profughi con cittadinanza ucraina e le donne hanno fin da subito ottenuto il permesso di lasciare il paese, il gruppo di studenti palestinesi ha dovuto aspettare per giorni al freddo, con poco cibo e vestiti caldi, e subendo aggressioni da parte delle guardie di frontiera ucraine, in quanto “non ucraini”.
Nonostante il gruppo di studenti palestinesi si trovasse insieme ad altri cittadini di paesi terzi, sottoposti anche loro alle stesse discriminazioni razziali, la loro provenienza da Gerusalemme Est li ha posti in una posizione ancora più vulnerabile. Mentre alcuni Stati africani si sono esposti per difendere i propri cittadini risiedenti in Ucraina e per richiedere un trattamento equo, gli studenti palestinesi si sono trovati senza protezione diplomatica di alcuno Stato. Ogni Stato ha infatti il diritto di agire a tutela di un suo cittadino che all’estero abbia subito una violazione dei suoi diritti da parte di un altro Stato. Ma chi protegge i palestinesi di Gerusalemme Est?
Come argomentato da +972 Magazine, i palestinesi di Gerusalemme Est sono in possesso della carta d’identità israeliana blu ma non possono ottenere il passaporto, in quanto non sono cittadini israeliani. Essi dispongono solamente del passaporto giordano – un’eredità del passato, quando la Giordania controllava il territorio prima del 1967 – ma che è valido solo per viaggiare e non si è mai tradotto in una cittadinanza giordana. Bisogna ricordare, inoltre, che quando l’Autorità Palestinese è stata istituita nel 1994, le è stato concesso solamente il potere di emettere passaporti palestinesi per i residenti della Cisgiordania e della Striscia di Gaza ma non per coloro che vivevano a Gerusalemme Est.
In poche parole, i palestinesi di Gerusalemme Est che si trovano in situazioni di pericolo all’estero e che subiscono violazioni dei propri diritti non hanno uno Stato che li tuteli in quanto suoi cittadini. Nonostante i residenti di Gerusalemme Est si trovino sotto il controllo de facto di Israele e, di conseguenza, anche sotto la sua protezione, il Ministro degli Affari Esteri israeliano non è stato in grado di aiutare gli studenti palestinesi bloccati al confine ucraino-polacco. Tale comportamento non combacia con la posizione benevolente assunta da Israele nei confronti dei profughi ucraini, che ha già provveduto ad accogliere 7,000 rifugiati di religione ebraica e non. Ancora una volta, un’ulteriore riprova di come i palestinesi siano soggetti a un trattamento disuguale in Israele.
Nel frattempo, il Ministro degli Affari Esteri e degli Espatriati Palestinese ha confermato che tutti i palestinesi che desideravano lasciare l’Ucraina sono evacuati con successo, secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa palestinese Wafa. Purtroppo, al momento non si hanno certezze che tali rimpatri comprendano anche i palestinesi di Gerusalemme Est.
Rimane perciò il fatto che né in tempi di pace, né tantomeno in tempi di guerra, non ci sono e non devono esserci essere umani di prima e di seconda classe. Solo essere umani. Come sostenuto da Filippo Grandi, “everyone is fleeing from the same risks”. L’uguaglianza e la non-discriminazione non possono passare in secondo piano, neanche durante il corso di un conflitto.
Laura Caramignoli