Sport e Politica non sono mai andati troppo d’accordo. Per società sportive e atleti, il politically correct è sempre stato un dogma da osservare con religiosa devozione, senza eccezioni. Così è, fin dai tempi dei pugni alzati di Smith e Carlos a Messico 68’, i quali hanno pagato a caro prezzo quel loro gesto ben radicato nel tumultuoso fervore politico di quegli anni. Oggi che la guerra in Ucraina impazza, rimbalzando da un notiziario all’altro, è tornata in auge la discussione che vede queste due rette parallele (sport e politica) non incontrarsi mai. Fino ad oggi. Infatti, le immagini dei massacri di Buča, le fosse comuni di Mariupol, hanno suscitato indignazione anche tra le federazioni sportive come la FIFA, l’UEFA e il CIO, storicamente poco inclini ad esporsi politicamente.
La posizione della FIFA e degli enti sportivi
“A seguito delle decisioni iniziali adottate dal Consiglio Fifa e dal Comitato Esecutivo Uefa, che prevedevano l’adozione di misure aggiuntive, la Fifa e l’Uefa hanno deciso oggi insieme che tutte le squadre russe, siano esse rappresentative nazionali o squadre di club, saranno sospese dalla partecipazione alle competizioni Fifa e Uefa fino a nuovo avviso“. Così, in data 28 febbraio, in una nota congiunta, le FIFA e l’UEFA annunciano le sanzioni alla Russia dopo l’invasione militare dell’Ucraina. Ma come? Sport e politica non andavano poco d’accordo? E il conflitto in Iraq e Afghanistan? E la Libia? La Palestina?
Pesi e misure differenti. In una notte ufficiale dell’ottobre 2017 la FIFA si esprimeva così riguardo al conflitto israelo-palestinese: “Il Consiglio FIFA riconosce che la situazione attuale (in Palestina e Israele) è, per ragioni che non hanno nulla a che vedere con il calcio, caratterizzata da un’eccezionale complessità e sensibilità e da determinate circostanze di fatto che non possono né essere ignorate, né modificate unilateralmente da organizzazioni non governative come la FIFA”. Molti palestinesi, arabi e attivisti internazionali hanno evidenziato la questione dell’ipocrisia di questi enti. Come è possibile che nel giro di 24 ore le federazioni sportive abbiano cooperato insieme per boicottare la Russia continuando ad ignorare gli altri conflitti che imperversano nel mondo da molti più anni?
Oltre al danno la beffa: il 3 marzo il Comitato Paralimpico Internazionale (IPC) è arrivato al punto di negare agli atleti russi e bielorussi il diritto di competere alle Paralimpiadi invernali di Pechino. La decisione è stata giustificata sulla base del fatto che la partecipazione di questi atleti ai Giochi “metteva a repentaglio la fattibilità” degli eventi. Inoltre, presumibilmente, rendeva “insostenibile la sicurezza degli atleti”, nonostante gli atleti russi e bielorussi fossero, a causa al contesto politico, destinati a partecipare come “neutrali”. In questi anni, tra le varie discipline sportive, si sono alzati venti di protesta con pochi ma coraggiosi atleti che hanno deciso di protestare a favore dei popoli vittime di soprusi.
La voce di chi non ha voce tra sport e politica
Nel 2020 l’algerino Judoka Fehi Nourine è stato sospeso per 10 anni insieme al suo allenatore per essersi ritirato dalle Olimpiadi di Tokyo. Si è rifiutato di incontrare un avversario israeliano. Oppure il caso di Mohammed Aboutrika, l’ex capitano della nazionale di calcio egiziana. Fu censurato dalla FIFA nel 2009 per aver semplicemente mostrato una maglietta con la scritta, sia in arabo che in inglese, “Simpatizzo con Gaza”. In una recente intervista Aboutrika ha affermato che “La decisione di sospendere i club e le squadre russe da tutte le competizioni deve essere accompagnata dal divieto di coloro che sono affiliati con Israele, perché in Palestina Israele ha ucciso bambini e donne per anni.”
In ordine di tempo l’ultimo gesto di vibrante protesta è stato messo in atto dal calciatore turco Aykut Demir capitano dell’ Erzurumspor (seconda divisione turca). Demir si è rifiutato di indossare una maglietta con la scritta “No war” (sia in turco che in inglese) prima della partita contro l’Ankaragucu. Intervistato dal Mirror riguardo al suo gesto ha dichiarato: “Migliaia di persone innocenti muoiono ogni giorno in Medio Oriente. Una situazione che molti normalmente ignorano ma se ne ricordano quando si tratta dell’Europa. Non mi piaceva indossare la maglietta perché quel messaggio non era rivolto anche a quei paesi“.
Voci, gesti, solidarietà. Mentre il mondo sportivo insorge contro la sanguinosa guerra voluta da Putin, è sempre più importante sostenere e diffondere queste voci fuori dal coro. Perché la guerra è guerra dappertutto e non esistono scale gerarchiche quando di mezzo c’è del sangue civile.
MATTEO BELTRAMI