La realtà di Jaffa, con i suoi problemi legati alla ricerca di un’identità, rappresenta solo un piccolo specchio di ciò che caratterizza la comunità palestinese in Israele.
Quando si fa ritorno al proprio luogo di origine, percepito in un qualche modo come casa, ci si aspetta di essere accolti con calore e affetto. Questa sensazione non sempre è quella che accompagna molti palestinesi con la cittadinanza israeliana, compresa me. Di fatto, quando si atterra all’aeroporto di Tel Aviv, la felicità di respirare l’aria di casa si mischia alla paura per ciò che potrebbe accadere.
Il ritorno a casa, seppur breve, non sempre suscita emozioni positive. Coloro che vivono lontani dalla propria terra spesso provano disagio al pensiero di non appartenervi totalmente o di non conoscerne abbastanza.
Il tema dell’identità è alla base della necessità di distinguersi dagli altri e, al contempo, di sentirsi parte di una comunità. I palestinesi con cittadinanza israeliana, anche conosciuti come Arabi del ’48, vivono una costante lotta interiore nel cercare di comprendere a che comunità appartengono.
La mancanza di rappresentanza
La comunità palestinese in Israele è al momento sottorappresentata nella manifestazione del potere legislativo, esecutivo e giudiziario, per non parlare del contesto militare e di polizia. A livello pratico, la mancata rappresentanza significa non sentirsi parte del proprio paese, in quanto non vi è nessuno a fare le veci degli interesse della propria comunità. In effetti, la comunità palestinese è soggetta ad una moltitudine di problemi socio-economici. Innanzitutto, in alcune città palestinesi, la brutalità della polizia e la mancanza di indagini hanno incrementato notevolmente la violenza. Le ostilità, insieme alla povertà, sono un terreno cruciale per i giovani inclini all’abbandono scolastico, alla violenza e alla radicalizzazione.
La scoperta della realtà di Jaffa
Durante il mio viaggio in Israele ho avuto l’occasione di parlare con attivisti, studiosi e ricercatori che, come me fanno parte di questa comunità, ma che, a differenza mia, la vivono tutti i giorni, provando ad apportare un cambiamento sia a livello nazionale che a livello locale, come nel caso della città di Jaffa.
Camminando per le stradine del centro di Jaffa, ho avuto modo di capire la situazione che si è creata in quell’area in seguito alla Nakba.
Storicamente la Palestina è sempre stata un crocevia di culture e commerci. Una delle città che prima del 1948 prosperava per la sua economia fiorente, grazie allo storico e strategico porto, insieme a teatri, musica e cultura era proprio Jaffa. Dinamica e cosmopolita, era conosciuta in tutto il Medio Oriente. Durante la prima guerra arabo israeliana che ha provocato la Nakba, molti palestinesi hanno resistito in questa città, facendo in modo che la loro stessa esistenza non potesse essere del tutto cancellata.
La demografia di questa città, composta da ebrei israeliani ed ebrei palestinesi, che normalmente non convivono nelle stesse città, è molto diversa dalla maggior parte delle altre realtà israeliane. Di fatto essa si caratterizza per un’ulteriormente segmentazione dovuta all’appartenenza religiosa, includendo così musulmani, cattolici, greco-ortodossi, ebrei laici ed ebrei ultraortodossi.
L’emergere dei problemi legati all’identità
In questo ecosistema cosi variegato Jaffa rappresentava una realtà di coesistenza e di pace. Tuttavia, i recenti avvenimenti hanno rivelato come la segregazione sia invece profonda e viscerale. I fatti di maggio 2021 hanno portato alla luce anche qui, ciò che è già manifesto nel resto di Israele. La tensione all’interno delle città miste, dopo i fatti di Sheikh Jarrah e il bombardamento di 11 giorni su Gaza, era palpabile. Rabbia e frustrazione sono aumentate esponenzialmente a causa della brutalità della polizia nei confronti dei cittadini palestinesi israeliani, che manifestavano contro i bombardamenti. Un altro fattore scatenante è stata la protezione da parte delle forze armate nei confronti degli estremisti ebraici che attaccavano i palestinesi.
Oggi Jaffa è diventata un quartiere assorbito completamente dalla città di Tel Aviv. Qui, gli attivisti svolgono un costante lavoro per ridare dignità alla popolazione palestinese in Israele. Lo scopo è provare a ricostruire la fiducia reciproca ed eliminare il doppio standard di trattamento.
Ecco come l’identità e la rappresentanza risultano fondamentali quando si vuole istaurare un dialogo di pace.