Israele, definito dalla Comunità Internazionale, come uno Stato democratico può impedire a due persone che si amano di vivere insieme? Ebbene, per quanto estremamente ingiusto e scandaloso, può. A marzo scorso la Knesset– Parlamento israeliano – a larga maggioranza ha approvato la nuova legge sul ricongiungimento familiare che, nella quasi totalità dei casi, vieta ai palestinesi dei Territori occupati che sposano cittadini israeliani, di risiedere in Israele.
Una tragedia contemporanea
La legge fu proposta nel 2003, sottoforma di norme, volute da Ariel Sharon – ex Primo Ministro israeliano – e così ogni anno furono a loro volta confermate fino a diventare legge nel marzo 2022. Il perché di questa legge fu giustificato, allora come oggi, come un “regolamento di emergenza”, una categoria di leggi valide solo fino a quando Israele si trova in uno “stato di emergenza”, com’è stato, del resto, negli ultimi 70 anni. Se lo Stato avesse onestamente dichiarato che impedire il ricongiungimento familiare dei palestinesi era dovuto a un timore demografico e non a ragioni di sicurezza, l’Alta Corte l’avrebbe considerato incostituzionale. In poche parole, Israele fa valere e promuove la Legge del ritorno per tutti gli israeliani nel mondo, a rientrare e godere della loro “nuova” patria; ma impedisce ai palestinesi di ricongiungersi con le loro famiglie in Israele.
La storia di Lana e Taisir, sembra quasi uscita dalla celebre tragedia Shakespeariana, dove i due nati nelle fazioni opposte, si innamorano perdutamente e decidono di sposarsi poco prima del 2003. Lana – cittadina di Jenin, Palestina – e Taisir, di Acri e cittadino israeliano, non hanno idea di cosa spetterà loro per i 15 anni successivi. Nessun romanticismo, nessun lieto fine, ma una continua guerra dentro e fuori le mura di casa, fatta di vita precaria, permessi di poco valore e un’infinità di documenti per favorire un passaggio molto spesso negato. La storia di Lana e Taisir non è neanche tra le più difficili che sono state raccontate; l’ong HaMoked precisa che al momento 13.200 coniugi palestinesi vivono in Israele con permessi precari ma potrebbero essere deportati in qualsiasi momento nei Territori occupati, senza poter più vedere la propria famiglia per anni.
Qual è il vero motivo che si cela dietro alla legge del ricongiungimento familiare dello Stato Nazione ebraica?
Torniamo indietro nel tempo agli Accordi di Oslo del 1993; da questo momento fino al 2003, circa 130.000 palestinesi hanno ottenuto la cittadinanza o la residenza israeliana attraverso il ricongiungimento familiare. Tra questi ci sono state 48 persone coinvolte in presunte attività terroristiche riferite dallo Shin Bet, il servizio di intelligence israeliano. Da quel momento, la scusa è stata servita su un piatto d’argento: per ragioni di sicurezza era necessario limitare il numero dei palestinesi in Israele.
Così come fu lampante per Sharon nel 2003, lo fu anche per i suoi successori, Netanyahu compreso, che a maggio 2022 ha dichiarato: “La legge dello Stato Nazione consolida innanzitutto la Legge del ritorno. La porta a un livello superiore e naturalmente garantisce agli Ebrei, e solo a loro, il diritto automatico di venire e di ricevere la cittadinanza. La legge per esempio impedisce l’utilizzo della clausola di ricongiungimento familiare in base alla quale, a partire dagli accordi di Oslo, moltissimi Palestinesi sono stati assorbiti nel Paese e aiuta a impedire il loro continuo accesso incontrollato. Questa legge inoltre potrebbe aiutarci a bloccare il futuro ingresso di lavoratori migranti”. In altre parole, impedire alle famiglie palestinesi di ricongiungersi.
Il ricongiungimento familiare
Il ricongiungimento familiare è una procedura con la quale i cittadini israeliani possono ottenere la residenza e la cittadinanza, per i loro parenti stretti che non sono cittadini. Per gli Ebrei, la procedura è irrilevante, perché possono già ottenere la cittadinanza con la cosiddetta Legge del Ritorno. Per i familiari non ebrei e non palestinesi di cittadini israeliani, il ricongiungimento può essere un processo arduo ma non del tutto diverso da procedure simili in molti altri Paesi.
Se il tuo coniuge è palestinese invece, una condizione demografica che riguarda quasi esclusivamente i cittadini arabo-palestinesi di Israele, ti è impedito di portare nel Paese i tuoi familiari e ottenerne lo status. La legge consente inoltre alla Ministra dell’Interno Ayelet Shaked, del partito Nuova Destra, di revocare a sua discrezione i permessi ai palestinesi sposati con israeliani per violazioni della fiducia, e vieta i matrimoni con cittadini di Stati nemici, come Libano e Iraq.
Una legge, l’ennesima, discriminatoria che viola i diritti delle famiglie israelo-palestinese. Una legge che, ancora una volta, mina quella volontà di entrambi i popoli di coesistere pacificamente, anzi di innamorarsi pure. Dove non c’è libertà di amare non ci sono stati democratici.
Giulia Marchiò