Per la quinta volta in quattro anni Israele è tornato alle urne. I risultati delle elezioni israeliane parlamentari del 1° novembre conferiscono la vittoria al Likud, partito dell’ex primo ministro Benjamin Netanyahu, con il notevole contributo dell’estrema destra sionista.
Con una maggioranza di 65 seggi su 120 alla Knesset, il blocco di Netanyahu si appresta a governare un Paese fiducioso nell’ultradestra israeliana, confermando le previsioni dei sondaggi. Si è assistito al successo, con 14 seggi parlamentari, del controverso partito estremista Sionismo Religioso, ora terzo dopo Likud (32 seggi) e Yesh Atid (24).
Benjamin Netanyahu ce l’ha fatta, di nuovo
Con una maggioranza ottenuta grazie all’alleanza del Likud con Sionismo Religioso, Shas e Torah Unita nel giudaismo, ‘Bibi’, storico Primo Ministro israeliano, torna alla ribalta. Dopo la crisi di governo dell’estate 2022, lo scioglimento della Knesset e la fine del governo Bennett-Lapid per mancata maggioranza, Netanyahu risale sul podio dei vincitori. Il suo ritorno a Premier per la terza volta è ormai assicurato.
A sostenerlo, i due partiti ultraortodossi; ma, soprattutto, la controversa figura di Ben Gvir. Giovane estremista di destra, seguace e studente del Rabbino Mair Kahane, è famoso per la sua retorica razzista, ed è un sostenitore dell’ex partito ultranazionalista Kach, considerato attualmente organizzazione terroristica.
Si palesano, così, dettagli sempre più chiari e sempre più numerosi del quadro ideologico che mette a nudo la natura della politica israeliana di destra. Un quadro che lascia poco spazio a compromessi ideologici e coalizioni forzate. Punta, invece, a dare voce a un elettorato che guarda a una ‘destra più a destra’.
Se precedentemente partiti di destra, di centro e di sinistra si sono trovati nella condizione di doversi coalizzare per poter raggiungere la maggioranza parlamentare e ricevere l’incarico di formare un nuovo governo, ora la destra e l’ultradestra vanno a braccetto. Tale alleanza non garantisce necessariamente stabilità di governo, ma di sicuro dice qualcosa sulla direzione ideologico-politica che Israele vuole seguire nel prossimo futuro, in politca interna ed estera. Dopo una breve parentesi in cui ha prevalso il fronte anti-Netanyahu con il governo Bennett-Lapid, i risultati delle ultime elezioni fanno rientrare il Paese nel pattern ideologico che contraddistingue la politica israeliana.
Frammentarietà e discontinuità
Le contraddizioni proprie del sistema partitico israeliano lo costringono a scivolare in crisi di governo quasi cicliche. L’appuntamento elettorale del 1° novembre si rivela sintomo di questa instabilità endemica.
Il Likud ha condotto un’estesa campagna elettorale concentrata ancora una volta sull’esaltazione dell’ex premier. Netanyahu avrà pure raggiunto la maggioranza con la destra religiosa, ma le accuse di corruzione e frode contro di lui e altri leader della coalizione restano macchie scure sul profilo della futura leadership israeliana. Se tali accuse saranno considerate una priorità dal nuovo governo resta per ora un’incognita; ma uno sguardo al passato è sufficiente per escludere questa possibilità. Si distoglierà lo sguardo nella speranza di favorire una stabilità duratura al governo Netanyahu? Si sorvolerà su Ben Gvir e sulle accuse di istigazione al razzismo e supporto al Kach?
In fin dei conti, Gvir è riuscito a ottenere il voto di molti giovani, inclusi soldati e elettori laici. Si è addirittura assicurato il voto di centristi spostatisi a destra. Questo dopo le campagne elettorali con cui ha promosso una maggiore sicurezza personale, la pena di morte per chi è ritenuto terrorista, l’opposizione ai diritti LGBTQ+, l’incoraggiamento all’emigrazione dei ‘nemici’ dello Stato e dei cittadini ‘non leali’ allo Stato.
Elezioni israeliane e l’ultradestra religiosa
La vittoria del Likud, il ritorno di Netanyahu e il successo di Ben Gvir non segnano semplicemente il ritorno della destra al potere. Gettano le basi per l’ascesa vigorosa dell’ultradestra religiosa e dell’ultranazionalismo. Le campagne elettorali dei partiti che hanno ottenuto più seggi hanno dato i loro frutti. Ora la composizione del nuovo governo lascia presumere che Israele si indirizzerà verso politiche di intolleranza e chiusura al dialogo.
Troverà spazio la ricerca di unità di intenti con l’opposizione? Nasceranno nuovamente divisioni interne alla neo-coalizione che spaccheranno il governo? Oppure Israele ha trovato una linea politica definitiva?
Ciò che è sicuro è che Netanyahu si troverà a guidare un paese fortemente diviso e che la nuova alleanza con Sionismo Religioso potrebbe minare persino gli accordi di Abramo. Gli effetti che questa linea determinerà sul futuro dei palestinesi si manifesteranno sicuramente a breve.
Marta Lioce