Giugno 2022. Dopo mesi di trattative diplomatiche tra il paese ospitante dei mondiali, il Qatar, e quello di Israele, con cui non è mai scorso buon sangue, si arriva a un accordo: i tifosi israeliani potranno volare in Qatar per assistere ai mondiali di calcio. Il fatto ha una certa portata storica: il primo paese in Medio Oriente a ospitare la più importante manifestazione calcistica al mondo, non riconosce in Israele uno stato legittimo per via dell’occupazione dei territori della Palestina – come il Libano. L’accordo, arrivato con l’intermediazione della Fifa, è stato annunciato dal ministro degli Esteri israeliano (Yair Lapid) assieme a quello della Difesa (Benny Gantz) e dello Sport (Chili Tropper). “L’amore per il calcio e lo sport – ha spiegato Lapid – connette persone e Stati. La Coppa del Mondo di novembre apre una nuova porta per rafforzare i legami”.
L’Hayya Card
Fast forward, agosto 2022: nonostante la mancata qualificazione della nazionale ai mondiali, molti tifosi israeliani hanno deciso lo stesso di partire in direzione Qatar per assistere alla competizione. Per farlo devono essere in possesso dell’Hayya Card, una sorta di tessera del tifoso che serve anche da visto d’ingresso in Qatar. Questo visto d’entrata, acquistabile nell’area hospitality del sito della Fifa, ha causato uno scandalo non di poco peso. Al momento della prenotazione, sotto la voce paese di provenienza, i tifosi invece che “Israele”, hanno trovato la seguente dicitura: “territori palestinesi occupati”. Suscitando, prima ancora dell’inzio dei mondiali, tensioni e nervosismi da parte dei tifosi israeliani. Nel frattempo, calmate le acque e sbollita la tensione, i Mondiali vengono inaugurati con la classica cerimonia d’apertura il 21 novembre. Durante la clamorosa vittoria dell’Arabia Saudita nei confronti dell’Argentina – poi campione – nella prima giornata del torneo, si scorgono tra gli spalti, disseminate a chiazze, le prime bandiere palestinesi. Nonostante il passato recente di contrasti tra il Paese e la leadership locale di Hamas, a Gaza le immagini televisive mostrano i tifosi festeggiare, con tanto di bandiere, per la vittoria dell’Arabia Saudita.
Solidarietà per la Palestina
L’episodio si è poi ripetuto durante la vittoria del Marocco contro il Portogallo nei quarti di finale. El Yamiq, giocatore marocchino, ha ballato dopo la vittoria con indosso un vessillo diviso a metà tra la bandiera del Marocco e quella del Qatar. Sabiri, altro giocatore del Marocco, si è fatto fotografare con una bandiera della Palestina sulle spalle, pubblicando poi la foto su Instagram con la scritta: “Libertà”. Anche tra le strade della capitale, a Doha, i tifosi marocchini, per festeggiare, hanno intonato il tipico canto Rajawi a sostegno della Palestina. Non è da sottovalutare però la posizione governita del Marocco. Ci ricordiamo infatti che, nel dicembre del 2020, il Marocco ha siglato un accordo di normalizzazione dei propri rapporti con lo Stato di Israele, ristabilendo relazioni diplomatiche di amicizia. Tali manifestazioni d’affetto possono essere intese come un contrasto tra le politiche del governo marocchino e i suoi cittadini. Il calcio, per fortuna, va anche oltre: come detto precedentemente durante le partite del mondiale abbiamo assistito a una fioritura di bandiere palestinesi, molte delle quali esibite in un preciso momento, al minuto ’48, perché? Per ricordare l’esodo di massa delle popolazioni palestinesi a seguito della guerra arabo-israeliana del 1948 (la cosiddetta al-nakba, letteralmente “la catastrofe”).
Un mondiale contraddittorio
In ultima analisi questa ondata di calore che ha investito la Palestina, si è tramutata, in alcune occasioni, in una presa di posizione nei confronti di Israele. Come testimoniato da Michael Safi, corrispondente internazionale per “The Guardian”, ci sono stati episodi di tifosi (arabi e non) che alle domande di reporter israeliani si allontanavano, o semplicemente esternavano un “Free Palestine!”. Alcuni sono stati presi anche a male parole o allontanati, costringendo diversi inviati israeliani a censurare l’emittente di provenienza per strappare qualche dichiarazione a caldo. È stato dunque un mondiale all’insegna della fratellanza, della comunanza, ma anche dell’incoerenza e della contraddizione, basti vedere che la Fifa ha proibito ad alcune nazionali di indossare una fascia arcobaleno in difesa della comunità LGBTQ+; o al fatto che le bandiere ucraine in solidarietà del conflitto non sono state tollerate all’interno degli stadi. Si ritorna alla vecchia questione dell’uso – in questo caso della Fifa – di criteri diversi per valutare situazioni delicate come queste, che abbiamo già affrontato in un precedente articolo. Insomma, archiviato questo mondiale restano più domande che risposte. Soltanto un mese fa Gianni Infantino – presidente della Fifa – esortava, in una lettera aperta a tutte le Nazionali partecipanti, a “concentrarsi sul calcio” dimenticando le questioni politiche. I fatti, come dimostrato, l’hanno poi lasciato inascoltato.
Matteo Beltrami