L’11 maggio 2022, a seguito di un’operazione dell’esercito israeliano in un campo profughi di Jenin (Cisgiordania), moriva la giornalista palestinese Shireen Abu Akleh. All’ anniversario della sua morte, con un’indagine dell’FBI in corso e l’inchiesta ONU riportante la colpevolezza delle forze israeliane, la libertà di stampa rimane negata. Ne sono portavoce le restrizioni operative da parte delle autorità israeliane più volte evidenziate dalla federazione internazionale dei giornalisti in Palestina. Ciò che dovrebbe essere un diritto resta macchiato dal tragico elenco di più di 50 giornalisti uccisi dall’inizio degli anni 2000.
L’indice della libertà di stampa in Palestina mostra un miglioramento “di facciata”
Il 2023 World Press Freedom Index, l’indice mondiale sulla libertà di stampa aggiornato annualmente, valuta l’ambiente lavorativo per i giornalisti in 180 territori. La situazione risulta “seria” in 31 Paesi, “difficoltsa” in 42 e “problematica” in 55 – con i rimanenti 52 Paesi in una situazione soddisfacente o buona. Christophe Deloire, Segretario Generle di RSF, denuncia la volatilità delle condizioni e la generale instabilità in riferimento alla libertà di stampa. Esse sono il risultato di una crescente aggressività delle autorità statali nei confronti dei giornalisti e la conseguenza di un aumento del livello di anonimato. Analizziamo il caso della Palestina, fa sperare un miglioramento del ranking dalla 170 alla 156° posizione Paese. Cisgiordania e Gaza rimangono però teatro di rappresaglie e violazioni istituzionali della libertà di stampa, ad opera delle forze di occupazione israeliane e dell’Autorità Palestinese. L’escalation dell’opposizione ai media ha raggiunto il culmine con l’uccisione di due giornaliste palestinesi nel 2022, tra cui Shireen Abu Akleh. Questi crimini rimangono ad oggi impuniti.
Normazione de jure, violazione de facto
Se i media diventano strumento politico in mano alle rispettive fazioni o affiliati alle stesse, come l’Agenzia Shebab News nei confronti di Hamas, il quadro giuridico preferisce omettere. La strategia di oppressione opera nello spazio indefinito del “non detto”. L’Autorità Palestinese riconosce ufficialmente la libertà di stampa e di opinione; tuttavia, le continue violazioni della norma ne riflettono il carattere antitetico rispetto agli interessi de facto del governo. La legge contro il crimine informatico del 2017 voluta da Abbas viene qui in soccorso al governo, limitando nella pratica l’applicazione del diritto in merito.
Secondo i risultati di un’altra inchiesta condotta da RSF agli inizi del 2023, almeno 11 reporter sono stati deliberatamente attaccati o resi target delle forze di sicurezza isrealiane negli ultimi mesi in Cisgiordania e Gerusalemme. Un’onda di violazioni de facto del diritto alla libertà di stampa divenuto ancora più dirompente dopo la morte di Shireen Abu Akleh. Non solo: i confermati casi di volontaria aggressione nei confronti dei media palsestinesi sono caratterizzati dal fil rouge dell’impunità e dell’assenza di processi. Questo fatto è stato più volte segnalato da RSF per richiamare l’attenzione della Corte Penale Internazionale.
L’intreccio tra libertà di stampa e meccanismi di potere
Nel suo Sorvegliare e Punire, Michel Foucalt descrive quella la rete dei meccanismi di potere che intesse con lucida ma allarmante razionalità la trama della narrazione sociale. Nel divieto alla trasmissione di di Palestine TV e Voice of Palestine vediamo una traslazione della riflessione foucaultiana oggi. La censura dei due media dell’Autorità Palestinese in Israele avvenuta a marzo 2023 è giustificata da una potenziale minaccia all’incitamento da parte dell’Autorità Palestinese contro Israele. L’incapacità di contenere l’erosione della sicurezza da parte del governo di Netanyahu altro non può fare che peggiorare una libertà di stampa e di opinione israelo-palestinese, costantemente messa in discussione dai giochi di potere in atto.