I beduini, dall’arabo bedewīn بدوي, , “abitanti della bādiya” ossia del deserto, sono una popolazione semitica di etnia araba nomade.
I beduini, una popolazione nomade
Sono comunità originarie della penisola arabica, insediatesi nelle zone del Nord Africa e nel Levante, come nel territorio Palestinese, intorno al secondo secolo a.c.. Come popolazione portavano avanti uno stile di vita nomade, diventato poi semi-nomade. Una vita basata principalmente sul pascolo e sull’agricoltura, organizzata internamente in federazioni di clan e comunità.
I beduini rientrano tra le comunità indigene della Palestina. La maggior parte si identifica come palestinese ma preferisce usare il termine Beduino per riferirsi alla tradizione culturale di nomadismo.
Nakba — da nomadi a profughi
Con la Nakba — la catastrofe conseguente alla fondazione dello Stato di Israele nel 1948, — anche la popolazione beduina fu separata e dispersa. Una parte della comunità ha cittadinanza israeliana e un altra parte è diventata profuga nei territori occupati. Dei 92,000 Beduini che abitavano il Negev , dopo la Nakba ne rimasero solo 11,000. Oggi, all’interno di Israele compongono il 3.5% della popolazione, divisi in diverse aree tra Galilea e il Negev.
Dal 1950 al 1966, Israele ha fortemente ristretto l’area dove erano insediate le comunità beduine, concentrandole in specifiche aree sotto amministrazione militare, lasciando loro solo il 10% dei territori ancestrali, sfollando interi villaggi. Oggi cica 300,000 Beduini hanno la cittadinaza israeliana. Alcuni, residenti nel Negev, abitano in città, appositamente costruite da Israele, mentre esistono 35 villaggi che lo Stato si rifiuta di riconoscere. Dalla fondazione di Israele, i Beduini sono stati raramente inclusi in qualsiasi discorso pubblico.
Popolazioni senza terra
Dopo la Nakba, lo stato israeliano ha promulgato una legge dichiarando l’assenza dei palestinesi. Scappati e diventati profughi, si sono visti negati la possibilità di ritornare: la legge ne legittimava l’esproprio di case e terreni da parte dello Stato. Lo stesso è avvenuto per i Beduini, chiamata in arabo mawat, in riferimento alle terre che secondo lo Stato erano abbandonate, senza proprietari.
Israele, soprattutto nel Negev, sta attuando dal ‘66 un tentativo di gentrificare il deserto, concentrando le varie comunità e clan beduini in aree prestabilite. Per forzare le comunità a questo trasferimento, lo Stato di Israele si rifiuta di riconoscere più di 35 villaggi. Questi, oltre a non ricevere nessun tipo di servizio, sono continuamente demoliti, subendo violenza e abusi da parte della polizia. Inutili i ricorsi presso i tribunali dello Stato.
Beduini, ora profughi
La stessa sorte di abusi e violenze spetta alle comunità beduine nei territori occupati. Essendo un popolo dedicato alla pastorizia, le espropriazioni di terreni impattano fortemente la loro fonte di sussistenza. Le comunità beduine e pastorali che oggi abitano nell’Area C — per il 70% rifugiate — sono le più esposte a questo “ambiente coercitivo”, che le spinge ad abbandonare le proprie terre.
Secondo Amnesty International, circa 7,000 membri della comunità beduina sono a rischio di sgombero e trasferimento forzato. Questo avviene a causa dei progetti di estensione degli insediamenti e annessione di territori palestinesi da parte del governo israeliano.
Come dichiarato dalla giornalista Amira Hass, sono in pericolo la storia e la tradizione culturale dei beduini. Con i continui espropri e ricollocamenti forzati la comunità si trova minata nei suoi diritti fondamentali. Sono nate diverse realtà a tutela della cultura e tradizione beduina, tra cui Beduins without borders. Lo scopo è di supportare le comunità sia nei territori occupati che all’interno di Israele. Il Negev Coexistence Forum for Civil Equality (NCF) un’organizzazione fondata nel 1997 da un gruppo di residenti arabi-palestinese ed ebrei del Negev, allarmati dalle politiche discriminatorie del governo nei confronti dei suoi cittadini di origine beduina.