di Federica Sammali
L’approccio della comunità internazionale alla guerra
A primo impatto, le reazioni all’attacco condotto da Hamas il 7 ottobre 2023 mostrano alcune somiglianze con il quadro generale delle risposte alla guerra russo-ucraina. In effetti, la comunità internazionale è, ancora una volta, divisa in tre principali macro gruppi. Ci sono gli Stati che sostengono Israele, una minoranza esigua di nazioni che difendono Hamas e, una grande maggioranza che manifesta un’ambigua e titubante neutralità, mettendo l’accento sulla necessità di una de-escalation della guerra. I governi occidentali rimangono, comunque, coesi nella loro solidarietà con Israele. Proprio tale sostegno incondizionato ed inequivocabile sembra sollevare l’accusa del doppio standard applicato alla popolazione palestinese rispetto a quella ucraina.
Palestina e Ucraina: due pesi, due misure?
Sebbene ogni guerra si distingua dalle altre per le proprie peculiarità, l’affinità è spesso nelle devastanti conseguenze che questa infligge, parimenti, alle popolazioni coinvolte. In tale contesto, il silenzio dell’Occidente di fronte alle continue escalation di violenza perpetrate a spese dei palestinesi nei territori occupati è sempre più assordante. Inoltre, cozza con le reazioni unanimi di denuncia e orrore di fronte ai massacri compiuti ai danni del popolo ucraino. Eppure, secondo quanto riferito dall’ex ambasciatore francese in Israele, nei territori palestinesi occupati “stiamo assistendo ad una chiara impennata della violenza [..] il governo di Netanyahu sta chiudendo un occhio e sostiene persino i coloni più estremisti“.
Questo silenzio dinanzi alle ripetute, crescenti violazioni dei diritti umani dei palestinesi (da tempo documentate da un grande repertorio di fonti ufficiali) è persino percepito, talvolta, come prova della presunta parzialità nell’applicazione del diritto internazionale, che vengono sempre inneggiati dall’occidente.
Lo stesso Mahmoud Abbas, presidente dell’OLP, che ha apertamente condannato l’attacco brutale sferrato da Hamas ai danni del popolo israeliano, aveva già precedentemente evidenziato l’esistenza di un doppio standard nella retorica occidentale. Ciò porta ad interpretare l’idea stessa di “resistenza” in maniera diversa a seconda che essa venga esercitata dal popolo palestinese o ucraino.
Mona Shtaya, attivista palestinese per i diritti digitali nel Medioriente e nel Nordafrica, sottolinea come questa disparità abbia fatto sì che persino le principali piattaforme dei social media reagissero prontamente. Questo non soltanto con l’obiettivo di tutelare la libertà di espressione ucraina, ma anche nel compiere azioni di censura ed eliminazione delle voci palestinesi, basandosi sulla medesima giustificazione delle loro condizioni contrattuali di servizio. A titolo d’esempio, Mona Shtaya rivela come, sul blog ufficiale di Meta, l’azienda abbia impiegato il termine “resistenza” per delineare il diritto del popolo ucraino di opporsi all’invasione russa, quando, parallelamente, il medesimo termine è risultato ora essere la ragione sottesa alla rimozione di alcuni contenuti palestinesi dalla piattaforma.
Nell’Unione Europea si nota la stessa tendenza, come dimostrato dalla decisione della Commissione Europea di sospendere il trasferimento dei fondi destinati alle autorità palestinesi (circa 691 milioni di euro). Questo in reazione ai danni subiti da Israele alla luce dell’attacco di Hamas. Benché l’annuncio della Commissione sia stato successivamente ritirato a seguito di divisioni interne, tale episodio mette in rilievo il potenziale impatto negativo e devastante che questa retorica può avere imprescindibilmente sulle comunità civili palestinesi, che con Hamas hanno nulla da spartire. L’Unione Europea rappresenta, infatti, una delle principali fonti di sostegno economico esterno per il governo palestinese.
Equità e giustizia – ancora perseguibili?
Ciò che emerge è, insomma, un quadro complesso di similitudini e divergenze tra le guerre russo-ucraina e israelo-palestinese. La comunità internazionale si trova a fare i conti con decisioni e reazioni che nascondono profonde contraddizioni, legate a logiche del potere che, allo stesso tempo, rendono tali contraddizioni apparentemente coerenti. Ciononostante, il fantasma del doppio standard delle retoriche occidentali nei confronti della causa palestinese suscita inquietudine. Porta a interrogarci sulle effettive priorità e sulla fondatezza delle azioni internazionali, nonché su di un ripensamento del concetto di “solidarietà” al centro delle retoriche europee ed europeiste.
Il silenzio davanti alle sofferenze dei palestinesi nei territori occupati risuona in modo particolarmente acuto, considerando, soprattutto, il sostegno occidentale alla promozione del diritto internazionale.
In un mondo che continua a vivere delle realtà sempre più complesse, è essenziale che la comunità internazionale cerchi soluzioni equilibrate e giuste, riconoscendo la diversità di situazioni e le esigenze delle popolazioni coinvolte. Solo attraverso un approccio empatico e ponderato potremo sperare di trasformare il coro di voci in un inno di pace e speranza per tutti coloro che soffrono nelle terre tormentate dalla guerra.