Gli attentati del 7 ottobre scorso compiuti da Hamas e il conseguente attacco da parte di Israele sulla striscia di Gaza, hanno riportato l’attenzione del mondo sulla questione palestinese che sembrava passata nel dimenticatoio globale. La popolazione palestinese presente tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo è da sempre e ora ancor di più sotto osservazione e sorveglianza da parte del governo israeliano.
La popolazione palestinese in Israele
Gli attacchi israeliani che si stanno abbattendo sulla popolazione civile palestinese di Gaza hanno rappresentato quello che si può definire una punizione collettiva indiscriminata sull’intera popolazione a prescindere dall’affiliazione con Hamas. Questo tipo di atteggiamento puntivo non avviene solo nei confronti dei cittadini di Gaza, ma anche sui palestinesi in Cisgiordania e quelli con cittadinanza israeliana. La comunità palestinese in Israele subisce un trattamento diverso dal resto della popolazione del Paese. Sono considerati cittadini di secondo livello, i cui diritti sono malleabili e revocabili.
Questo è evidente in seguito agli attacchi israeliani su Gaza. Molti cittadini palestinesi con cittadinanza israeliana hanno manifestato solidarietà sia con le vittime connazionali, sia con le vittime palestinesi, chiedendo un immediato cessate il fuoco al governo.
Purtroppo le voci di dissenso nei confronti del governo israeliano non sono mai le benvenute. Questo sopratutto se provenienti dalla comunità palestinese. Infatti, la risposta del governo di ultra-destra è stata immediata e la più ovvia, ovvero repressione del dissenso e accusa di supporto al terrorismo.
Nelle scorse settimane infatti, chiunque fosse appartenente alla comunità palestinese in Israele si è ritrovato sotto stretta osservazione.
Nessuno si sente libero di manifestare il proprio pensiero a supporto delle vittime di Gaza, senza avere il timore di essere sospeso o licenziato dal proprio lavoro, o ancora peggio, arrestato.
Sotto osservazione
La libertà di espressione non è soltanto repressa dalla polizia israeliana, ma anche dai sostenitori del governo, coloro che appartengono ai gruppi ultra-nazionalisti religiosi che spingono per una visione di un grande Israele, libero dalla popolazione palestinese.
Un caso recente è quello del 28 ottobre quando un gruppo di residenti ebreo-israeliani della città di Netanya hanno assalito gli studenti palestinese-israeliani del Netanya Academic College, i quali si sono dovuti barricare all’interno dello studentato in attesa dell’intervento della polizia, mentre i loro aggressori intonavano Morte agli arabi.
Yousef Tah, membro dell’Autorità Araba Congiunta per i Blocchi Studenteschi nell’ambito del Comitato Arabo di Emergenza, ha dichiarato che la situazione è senza precedenti con la concreta possibilità che alcuni degli studenti vengano aggrediti non solo verbalmente ma anche fisicamente.
La polizia ha annunciato il divieto totale di manifestazioni politiche mentre Israele è in guerra. Il capo della polizia israeliana ha persino minacciato di inviare a Gaza qualsiasi cittadino palestinese di Israele che provi ad esprimere solidarietà con i palestinesi della Striscia. Diversi manifestanti sono stati arrestati a Haifa e prima ancora nella città di Umm Al-Fahm.
Il silenzio non aiuta
Anche il silenzio non è sinonimo di sicurezza, difatti equivale, per alcuni membri del governo, al sostegno al terrorismo. Il controllo maniacale e senso di persecuzione, tipico di una comunità che vive con una mentalità d’assedio, ha portato persino al controllo dei social media di medici e operatori sanitari di etnia palestinese alla ricerca di contenuti che possano essere interpretati come sostegno al terrorismo, portando alla sospensione o licenziamento dei dipendenti.
La polizia Israeliana insieme all’ufficio del procuratore di Stato sono pronti a denunciare i post sui social, sottolineando la risposta psicolabile e sproporzionata.
La guerra a Gaza ha riportato all’attenzione la fragilità del tessuto sociale israeliano. La percezione della comunità palestinese in Israele come quinta colonna è ancora forte. Questo atteggiamento è comune anche nel governo e nella Knesset, dove il ministro kahanista della Sicurezza Nazionale, Itamar Ben-Gvir, ha molti colleghi che desiderano una seconda Nakba.