Profitti o diritti umani? Questa è la domanda che si dovrebbero porre tutte le imprese che decidono di operare nei Territori Occupati Palestinesi.
Una delle risposte più recenti a tale quesito arriva dal colosso mondiale del gelato Ben&Jerry. Il 19 Luglio 2021, la multinazionale ha infatti annunciato la sua intenzione di non voler più vendere i propri prodotti all’interno dei Territori Occupati. Secondo quanto riportato nel comunicato stampa, la continua presenza dell’azienda su un territorio illegalmente occupato andrebbe contro i diritti umani, e di conseguenza contro i valori della stessa multinazionale.
L’occupazione è anche un fatto economico
Una scelta che comporta non pochi danni pubblicitari e monetari. Il Vice-primo ministro di Israele Yair Lapid ha etichettato il recesso della Ben&Jerry come ‘antisemita’. In diversi stati federali le autorità statunitensi stanno valutando di escludere la multinazionale da contratti e investimenti statali.
Una decisione audace, dunque, specialmente tenendo presente quanto sia reale il contributo delle imprese nell’espansione e nel mantenimento degli insediamenti Israeliani.
D’altronde, l’occupazione è anche un fatto economico. L’indipendente fact-finding mission stabilita dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite sostiene che la macchina dell’occupazione non potrebbe tenersi in piedi senza i beni e servizi forniti dagli attori privati, poiché questi vanno ad alimentare un sistema fortemente iniquo e caratterizzato da costanti privazioni dei diritti dei Palestinesi.
In cambio, le aziende coinvolte traggono vantaggio da sussidi governativi, esenzioni fiscali, accessi preferenziali alle infrastrutture, permessi e canali di esportazioni concessi da Israele. Questi benefici economici riducono i costi aziendali, spingendo sempre più aziende ad investire nei Territori Occupati per aumentare la propria competitività. Purtroppo, non senza notevoli costi umani.
Complici delle violazioni
La presenza fisica delle imprese e il loro sproporzionato consumo ha spesso comportato l’illecita confisca delle terre, le demolizioni delle proprietà, e la depredazione delle risorse Palestinesi. Con il costante utilizzo della più economica manodopera palestinese, le imprese continuano a non garantire importanti diritti dei lavoratori. Non ultimo tra questi il compenso, che spesso è nettamente inferiore al salario minimo. Le opportunità lavorative garantite agli Israeliani degli insediamenti e le tasse pagate alle municipalità locali hanno contribuito a finanziare economicamente l’occupazione. Lo sfruttamento delle meno rigorose leggi ambientali in Cisgiordania l’ha progressivamente resa una sacrifice zone, irreversibilmente compromessa da danni ambientali e negligenza economica.
In poche parole, le imprese sono diventate complici delle violazioni del diritto internazionale commesse da Israele.
Il Database
Data la vastità del fenomeno, il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha deciso di agire. Nel 2016 ha richiesto all’Alto Commissariato per i diritti umani un database annuale delle imprese coinvolte in attività legate agli insediamenti Israeliani e che ledono i diritti umani dei Palestinesi nei Territori Occupati. La pubblicazione del Database è stata rimandata più volte, e soggetta a notevoli pressioni politiche nel tentativo di essere fermata. Ma nel Febbraio 2020 l’Alto Commissariato ha pubblicato un elenco di 95 aziende Israeliane e 17 aziende estere. La maggioranza con sede negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Francia, e nei Paesi Bassi.
Il Database delle Nazioni Unite ha rappresentato un passo fondamentale nell’assicurare la responsabilità aziendale, anche conosciuta come corporate accountability. Tuttavia, il fatto che nel 2021 non vi sia una versione aggiornata rappresenta un passo indietro negli sforzi condotti fino ad ora. Nel frattempo, Israele ha intensificato le demolizioni delle strutture Palestinesi e l’espansione illegale degli insediamenti Israeliani; iniziativa esplicitamente sostenuta da multinazionali come la Caterpillar e la Basque CAF.
Al momento, perciò, la situazione sembra destinata a peggiorare, mentre viene meno l’unico meccanismo autorevole in grado di scoraggiare la presenza delle imprese nei Territori Occupati. Ora spetta a ciascuna azienda trarre le proprie conclusioni.
Lucrare sulle sofferenze di esseri umani o rinunciare alle operazioni nei Territori Occupati?
Che siano tutte coraggiose come la Ben&Jerry?
Laura Caramignoli