Diamo voce alla Palestina
Wise Voices Stories è una rubrica che ha come obiettivo quello di raccontare la Palestina attraverso le storie di esperti, organizzazioni e attivisti che vivono in loco. Diamo voce a chi la Palestina la vive e la affronta quotidianamente ma anche a chi sceglie di toccare con mano, per un periodo più o meno breve, questa realtà.
La Wise Voice Story di oggi ci porta a conoscere Norberto Julini, consigliere nazionale di Pax Christi Italia e presidente dell’associazione ‘’Nova Jerusalem” del Sacro Monte di Varallo, che ha come obiettivo quello di fare da ponte di amicizia con i popoli del Medio Oriente.
- Com’è iniziato il tuo percorso e conseguente interesse verso la questione israelo-palestinese? C’è stato per te uno o più momenti che puoi considerare significativo?
Ho iniziato come cattolico durante un viaggio tradizionale in Terra Santa guidato dal mio vescovo nel 2005, tuttavia, a parte la scoperta dei luoghi santi, ne sono uscito un po’ deluso. Non è toccando le pietre ma bensì incontrando le persone, che scopri davvero. Sono tornato giù in piena seconda Intifada accompagnato da Don Nandino Capovilla e lì ho incontrato le persone e le loro storie. Mi sono accorto però che c’era un’asimmetria: da una parte si praticava la non violenza, dall’altra invece la violenza smisurata. Proprio in quei primi pellegrinaggi di giustizia ci furono i venti giorni di piombo fuso e 1300 morti tra Natale e il mese di gennaio. Ho deciso di scrivere su una benda lunga 100 metri tutti i nomi dei morti, e l’ho stesa durante alcune inaugurazioni di monumenti. Dopo questi viaggi ho sentito la necessità di dover fare qualcosa come europeo, come cristiano e come democratico: come europeo perché abbiamo messo sui palestinesi il peso della Shoah e quello che portiamo, che non può però essere un alibi per perpetrare violenze e prevaricazioni; come cristiano perché i cristiani sono stati i primi ad aver inventato l’antisemitismo, e come democratico che crede nella nostra Costituzione e nel Diritto Internazionale, che mi ha portato a diventare più esperto di Geopolitica, perché mi sono accorto che Israele è l’ultimo esempio di colonizzazione. Uno “straordinario” avamposto occidentale dentro al contesto mediorientale, sostanzialmente considerato la nostra pompa di benzina. E poi non solo, ma un Israele che, dovendo tenere per decenni sottomesso un altro popolo e riuscire a giocarsi la carta della democrazia, io la considero a tutti gli effetti una etnografia. Uno Stato che ha dovuto escogitare una serie di sistemi di sottomissione e sorveglianza che fanno scuola al mondo interno. C’è un libro di Geff Harter intitolato “La guerra contro il popolo“, che illustra molto bene come ci siano protocolli per tenere a bada il popolo facendo sì che il resto del mondo ne resti all’oscuro.
- Sappiamo che sei Presidente dell’associazione Nova Jerusalem e consigliere nazionale di Pax Christi, e in un’intervista hai detto ‘’ Cooperare in questo movimento internazionale per la pace è un buon modo per lavorare al futuro della pace’’, credi che la cooperazione quindi sia il mezzo principale attraverso cui raggiungere una pace, oppure è necessario che sia integrato con altri mezzi? Quali sono gli obiettivi che vi proponete?
Nella Bibbia si legge che per giungere alla pace si deve seguire una sequenza: “devo dire la verità, devo essere giusto e così arriverò finalmente alla pace”. Con “cooperazione” per me non si intende il concetto della cooperazione internazionale, anzi smettiamola di mandare i soldi ai palestinesi, perché sono uno strumento di corruzione. Capisco che attenuino il morso della sottomissione e assicurino il pane quotidiano, ma le persone hanno fame di diritti, non di dollari. La richiesta unica che mi fanno quando vado giù è :“ raccontate di noi e dite la verità”. La verità.
Per questo con Pax Christi abbiamo dato vita alla nostra rubrica: per poter raccontare la verità, le voci dai territori occupati. Questa rubrica si chiama “bocche scucite” appunto, come nostro tentativo di dire qualcosa rispetto alla maggioranza che ha le bocche cucite e vive una polarizzazione nel raccontare quello che succede.
La nostra rubrica è uno dei mezzi con cui facciamo sensibilizzazione – advocacy, la quale è estremamente necessaria per aiutare i palestinesi.
- Il ruolo dei giovani e dell’associazionismo secondo te, potrebbero essere la chiave?
I giovani e le associazioni possono continuare a raccontare la verità, come richiesto dai palestinesi. Alcune realtà che provano a sensibilizzare e portare attenzione alla questione palestinese sono per esempio Operazione Colomba, Progetto EAPI, TIP (Temporary Police in Hebron). Loro lo fanno armati di videocamere, computer e penne che registrano e testimoniano quello che succede, facendo un gran bene alla verità. Cooperazione dunque è cooperare insieme su diversi fronti in maniera trasversale. Un esempio di cooperazione è stato l’incontro che si è tenuto ad Assisi, tra palestinesi ed israeliani per la ”Pace Giusta” per portare avanti una pratica di dialogo e comunicazione. Inoltre, come paxisti portiamo giù pellegrini di giustizia. Stiamo in Cisgiordania, Hebron e talvolta anche nei villaggi non riconosciuti dai pellegrini.
- Abbiamo letto che sei diventato cittadino onorario di Betlemme, che rapporto hai con questa città?
Idea di una regista betlemita che, per legare le persone alla città di Betlemme, ha chiesto la possibilità di rilasciare dei certificati di appartenenza. Lei è venuta in Italia a presentare il suo cortometraggio a Mestre da Nandino Capovilla e ha voluto premiare sia Nandino che il sottoscritto. A Betlemme ho collezionato belle esperienze, tutte legate al campo medico. C’è la clinica di Niddal Salameh per le famiglie indigenti. Niddal ha studiato in Italia, ed è un uomo straordinario che porta avanti l’impegno politico. Nonostante le incursioni, lui continua a tenerla su, anche grazie a degli aiuti: Caritas, Baby Hospital, oppure Niño de Dios e il Saint Vincent, luoghi che noi frequentiamo e in cui incontriamo la Palestina e le sue enormi carenze sanitarie. In presenza anche di fatti epidemici caratteristici della popolazione: matrimoni endogamici e veleni mandati da Israele che sono costretti a mangiare. Andiamo a visitare le donne di Ramallah che hanno messo su il centro del cucito che dà lavoro a famiglie con mariti e figli in carcere. Ninndal Salameh mi ha spiegato ed insegnato per quale ragione secondo lui la Palestina vincerà, per il semplice motivo che i suoi abitanti non si muoveranno di lì, perché quella terra è parte di loro. Al contrario lo Stato di Israele non è radicato nel territorio in cui si trova, geograficamente e politicamente parlando, con non troppe ragioni effettive che lo spingano a restare lì. La società israeliana è fortemente divisa e segregata al suo interno; ha una classe dirigente la quale per risolvere le divisioni interne ha la necessità di un nemico comune, come per esempio la grande menzogna iniziale che si continua a ripetere per legittimare la propria presenza in quella terra: “una terra senza popolo per un popolo senza terra”.
- Labiba ha due grandi obiettivi, il primo è quello di far conoscere la Palestina con un altro volto, quello di un popolo e di una cultura e storia centenaria. Il secondo invece è quello di poter finanziare l’artigianato in Palestina. A tal proposito vorremmo chiederti se avessi qualche ricordo, immagine o tradizione che più ami di questa terra. C’è qualche prodotto tipico dell’artigianato palestinese che dovrebbe a tuo parere essere più conosciuto?
Infatti. Dobbiamo smettere di raccontare i palestinesi descrivendoli come vittime, raccontiamoli come un popolo creativo che ha una dignità e una visione, che è in armonia con la terra che abita: loro sanno bene come trattare la propria terra e come renderla forte. In altre parole, la questione palestinese è una questione di riconoscimento di popolo indigeno legato alla propria terra.
La questione palestinese, oltre all’occupazione israeliana deve tenere conto delle problematiche interne all’ANP (Autorità Nazionale Palestinese), la quale nacque con gli accordi di Oslo nel 1993 perché doveva nascere la Palestina. A capo dell’ANP al tempo vi era Arafat, il quale esauriti i 5 anni di tempo e non essendo stati rispettati i patti, si sarebbe dovuto dimettere da solo, ma questo non è successo. Questo modo di agire, di non lasciare il ”potere” che si ha nelle mani, ha fatto si che l’ANP venisse accusata di collaborazionismo con Israele. Per fare un parallelismo, un po’ quello che è accaduto al tempo con la repubblica di Vichy, dove i dissidenti venivano catturati delle forze palestinesi per conto dell’esercito israeliano, torturati o percossi a morte, come è capitato di recente. Di fatto, la gioventù palestinese è fortemente disillusa ed alcuni di loro -non tutti- stanno cercando furori dagli schemi politici una strada loro con i coetanei israeliani. Questo incontro è il fiammifero che rompe le pene della questione e che può diventare un faro, una luce che faccia sì che i due popoli si incontrino.
Per quanto riguarda i prodotti dell’artigianato, posso dire che invecchiando si diventa un po’ golosi , ed io mangio bene. Indubbiamente la cucina, specie le zuppe e il pane, e tanto altro. Naturalmente sanno fare molte cose magnifiche, come gli abiti da donna ricamati, tipici di tutta la Palestina da Ramallah e a Nazareth, con il ricamo tradizionale che è segno della dignità portata con tanta eleganza.
- Se pensiamo, qui in Italia, alla Palestina è inevitabile pensare che sia un mondo molto lontano. Quale può essere invece il mezzo per avvicinare questi mondi, come possiamo portare la Palestina anche in Europa?
Sergio Bassoli, dirigente CIGL a cui dobbiamo la creazione di Pace Giusta Assisi, chiede una cosa minima e se volete anche discutibile: il riconoscimento dello Stato di Palestina, con la consapevolezza che il riconoscimento non è la soluzione ma è una qualcosa di necessario. L’Europa e l’ONU lo devono a loro stesse e ai palestinesi. La Palestina è stata riconosciuta da 113 paesi, ma il mondo definito sviluppato non lo riconosce. Riconoscere lo stato di Palestina senza condizioni e senza mantra “frutto di un negoziato”. Qui ed adesso dobbiamo riconoscere lo Stato di Palestina, perché noi riconosciamo il principio di autodeterminazione dei popoli. E invece continuiamo a riempirci la bocca del principio “due popoli due stati”, ma qui io mi chiedo sempre… dove si trova il secondo stato? Se tu vuoi ripetere questo mantra di sicuro non riesci a comprendere e capire che ci sono dei principi ineluttabili e imprescindibili per la creazione di uno stato dettati dal diritto stesso. Perché di fatto Israele, senza accorgersene, sta forse aiutando a costruire il secondo stato, ovvero quello della Palestina. Perché di fatto, costruendo nei territori da lui occupati strade ed infrastrutture, se si deciderà di proseguire con l’idea dei due stati, sta di fatto regalando tutto ciò allo Stato del domani. A quale punto io non lo so, ma in realtà l’intreccio cresce. Hanno costruito un muro per bloccare il processo, ma i muri rallentano i processi, non li fermano.