La guerra tra Palestina e Israele non guarda in faccia nessuno. Stavolta a rimetterci la vita non è né un miliziano né un soldato, ma una giornalista. Cisgiordania, maggio scorso, siamo nel campo profughi di Jenin – ormai teatro di scontri tra miliziani palestinesi ed esercito israeliano. Una troupe di Al Jazeera è lì per documentare il raid tra le due fazioni quando, nei pressi di una scuola vicino a Jenin, una serie di proiettili raggiunge la giornalista cinquantunenne Shireen Abu Akleh.
Assieme a lei un altro reporter che si trovava sul posto ha subito un attacco. Il suo nome è Ali Samodi – del network Al Quds – anche lui vittima dello scontro a fuoco, è stato colpito alla schiena; il reporter ha raccontato all’agenzia Wafa che si trovava insieme alla vittima con un gruppo di altri cronisti nelle “vicinanze delle scuole dell’Unrwa nei pressi del campo profughi di Jenin”, e che “tutti indossavano elmetti e divise da giornalisti”. Poi ha aggiunto che il gruppo “è stato preso direttamente di mira dalle forze di occupazione”.
Ovviamente la notizia ha avuto subito un forte eco anche per via della notorietà di Shireen Abu Akleh, volto molto apprezzato dell’emittente. A tal proposito è intervenuto il capo di stato maggiore delle Forze di difesa israeliane, generale Aviv Kohavi, il quale ha affermato che «non è ancora chiaro» chi abbia sparato il proiettile che ha ucciso la giornalista. Aggiungendo «in questa fase, non possiamo determinare da chi sia stata colpita, ci rammarichiamo per la sua morte».
La posizione dell’ANP
L’Anp (Autorità nazionale palestinese) ha rifiutato l’offerta israeliana, capeggiata dal primo ministro israeliano Naftali Bennett, di svolgere un’autopsia comune. Ha aggiunto poi che «il presidente palestinese accusa Israele senza prove solide». Prosegue Bennet: «Sulla base dei dati a nostra disposizione, c’è una probabilità da non scartare che palestinesi armati che sparavano in modo selvaggio abbiano provocato la dolorosa morte della giornalista». Anche il portavoce dell’Autorità palestinese, Ibrahim Milhim, ha dichiarato ad Al-Jazeera che «La Corte internazionale di giustizia apra un’inchiesta sull’uccisione di Shireen e su altri crimini commessi contro i palestinesi».
La dura reazione di Al-Jazeera e dell’ONU
Al Jazeera, emittente satellitare con sede in Qatar, accusa «il governo israeliano e le forze di occupazione responsabili dell’uccisione della defunta collega Shireen». Invita, inoltre, la comunità internazionale a ritenere «le forze di occupazione israeliane» responsabili per aver «preso di mira e ucciso intenzionalmente» Abu Akleh. Anche l’ONU ha preso posizione attraverso un tweet del coordinatore speciale delle nazioni unite per la pace in Medio Oriente Tor Wennesland: «Condanno con forza l’uccisione della giornalista di al-Jazeera, Shireen Abu Akleh, raggiunta da colpi d’arma da fuoco questa mattina mentre seguiva un’operazione delle forze di sicurezza israeliane a Jenin».
La morte di Shireen Abu Akleh, secondo il Dipartimento di Stato USA, “è un affronto alla libera stampa ovunque nel mondo”. «Incoraggiamo entrambe le parti a partecipare a questa indagine in modo da poter capire perché è successo», ha detto l’ambasciatrice americana all’Onu. «La priorità assoluta degli Stati Uniti è la protezione dei cittadini e dei giornalisti americani».
Shireen Abu Akleh e chi prima di lei
Shireen è solo l’ultima di una serie di giornalisti palestinesi che hanno pagato un prezzo troppo salato per il loro lavoro. Secondo la International federation of journalists (Ifj), dal 2000 le forze israeliane hanno ucciso almeno 46 giornalisti palestinesi. Reporter senza frontiere ha registrato più di 140 abusi da parte israeliana contro giornalisti palestinesi da quando sono cominciate le proteste a Gaza, nel marzo del 2018. I palestinesi quindi non credono più nella giustizia israeliana: “Perché dovremmo aspettarci che Israele indaghi a fondo sulla morte di Shireen? I dati parlano da sé.”