Di Luca Chieti
Dopo un anno da quel fatidico 7 ottobre 2023, le bombe continuano inesorabili a risuonare nei cieli mediorientali, dipingendo un quadro di desolazione ogni giorno più tragico. Oltre alla Striscia di Gaza, Israele concentra la sua furia anche sul Libano, con lo stesso modus operandi e con quell’amaro silenzio-assenso di quei presunti “potenti” che, al contrario, dovrebbero operare per fermare le lampanti violazioni del diritto internazionale che si consumano, ora, in due paesi.
Dall’Ulivo al Cedro
Una crescente attività militare israeliana nei confronti del Libano ha caratterizzato le ultime due settimane di settembre. Secondo Tel Aviv, così come successe per Gaza all’indomani del 7 ottobre, l’operazione sarebbe stata circoscritta ad obiettivi strategici precisi, quali l’eliminazione del vertice di Hezbollah, Hassan Nasrallah, raggiunto il 28 settembre tramite un raid aereo nella capitale libanese Beirut. Nonostante la portata cruciale di tale avvenimento, l’escalation israeliana è proseguita inesorabile, culminando con l’invasione terrestre di Tel Aviv nel sud del Libano il 1° ottobre.
Il rischio di un’espansione del conflitto anche all’Iran, che ha reagito all’invasione con una pioggia missilistica su Israele, si concretizza ogni giorno, con il rischio di un’estensione a macchia d’olio di questa sporca guerra in tutto il Medio Oriente. Tuttavia, nemmeno questa tragica prospettiva tange la fermezza del premier israeliano Netanyahu, convinto a voler portare a fondo un’operazione il cui fine è paurosamente ignoto. Fin troppo evidente invece è la desolazione che questa scelleratezza si lascia dietro, tra città distrutte, feriti, morti. Ma se la realtà è questa, perché non vediamo alcun tipo di reazione da parte di quegli attori, che si fanno portatori di determinati valori, davanti alla totale follia israeliana a Gaza e in Libano?
Quell’insensato doppio standard europeo
Se, da un lato, la negligenza statunitense accompagna da sempre le azioni israeliane, dall’altro, c’è un inquietante silenzio di quei 27 paesi che della pace ne hanno fatto il proprio caposaldo. E questo immobilismo dell’Unione Europea davanti a ciò che si sta consumando a Gaza ed ora in Libano è ancora più spaventoso se si guarda alla reazione di Bruxelles nel momento in cui lo spettro della guerra si è abbattuto alle sue porte, con l’invasione dell’Ucraina nel 2022. In quell’occasione, fermezza e pesanti sanzioni economiche non si sono fatte attendere e sono state accolte in maniera quasi unanime da parte dei leader europei. Mentre ora, prevalgono il silenzio, i piedi di piombo, come a voler fingere che certe azioni siano lecite se commesse da uno Stato piuttosto che da un altro.
“La sovranità di Israele e del Libano deve essere garantita e qualsiasi ulteriore intervento militare aggraverebbe drammaticamente la situazione e deve essere evitato”
Queste le uniche parole pronunciate dall’Alto Rappresentante Josep Borrell, molto vaghe, povere di contenuto e completamente sorde al disastro umanitario che si sta consumando con la complicità anche dell’Unione Europea. A questa dichiarazione, farà seguito uno stanziamento di aiuti umanitari per il Libano e un ennesimo appello alla pace, seguendo lo stesso, debole, copione di Gaza.
Una società che fa rumore
Di fronte al generale immobilismo e silenzio dei media e delle istituzioni politiche, è lecito domandarsi quanto forte dovrà essere la prossima bomba per far sollevare la testa a coloro che ancora oggi negano, o peggio, difendono e giustificano le costanti violazioni del diritto internazionali da parte di Israele nei confronti della popolazione civile di Gaza e del Libano. La speranza per invertire questa dinamica è ad oggi riposta nella società civile, organizzata e non, e nelle azioni di mobilitazione di diversa natura portati avanti in direzione ostinata e contraria rispetto a quel silenzio imposto dall’alto. Perché la guerra, anche nel posto più lontano e recondito della Terra, deve spaventare, deve far rumore, deve smuovere chi può concretamente impegnarsi per mettere fine a morte e distruzione.
Nell’attesa di un cambiamento, non lasciamo che il silenzio rimanga padrone della scena istituzionale e politica. Mobilitiamoci, anche con piccole azioni quotidiane, per far sentire la nostra voce, il nostro dissenso, la nostra richiesta di giustizia nei confronti di quei popoli oppressi dalla follia della guerra.