Capita spesso che tra i miei ricordi compaiano le immagini di quel luglio trascorso nella calda Palestina. Mi trovavo qui qualche anno fa, grazie ad un progetto con altre colleghe e colleghi universitari. Pensare a quei giorni mi fa subito tornare in mente la Crèche e la sua Direttrice.
La Crèche, dal francese “nido”, si presenta all’esterno come una guesthouse che accoglie tutti coloro che vogliano soggiornare a Betlemme durante la loro visita in Palestina. Accogliente, spaziosa e senza pretese. Nella sala colazione si possono incontrare pellegrini in viaggio, studiosi e gruppi di universitari che si salutano gentilmente tra un pezzo di pane arabo con zaatar ed un caffè. A fare gli onori di casa c’è una suora sarda Suor Maria Mastinu. Piccola di statura, questa donna così energica, riesce a gestire la guest house e il suo cuore pulsante: l’orfanotrofio della Crèche, aiutata dai tanti benefattori, che una volta passati di lì, hanno lasciato un pezzo di cuore. Maria Mastinu chiama queste persone “la provvidenza”. Oggi la Crèche accoglie e sfama più di cento bambine e bambini provenienti da tutta la Palestina. Alcuni figli illegittimi e non voluti di una società complessa che spesso non lascia spazio ai traguardi sociali e umani di cui il paese ha un estremo bisogno, altre vittime dell’estrema povertà a cui questo nido dona uno spazio dove crescere lontani dalla guerra.
La Crèche è un grande oblò sulle sui numerosi disagi sociali della società palestinese, provocati dalla violenza e dalle repressioni e queste inevitabilmente, ricadono sulle donne e i bambini. Suor Maria Mastinu oltre ad accogliere i trovatelli, si prende cura di chi, non potendo abortire cerca di donare al proprio figlio “illegittimo” un futuro, qualsiasi esso sia.
Ho avuto il piacere di vedere dal vivo questi frutti amorevoli della “provvidenza” una volta che Suor Maria ci ha accompagnati in un tour dell’orfanotrofio. Il giorno prima seduti nella veranda della guest house mentre fuori il sole lasciava lentamente spazio alla sera, Suor Maria ci ha raccontato delle bambine e dei bambini del nido. “Molti sono qui per evitare che le madri subiscano il delitto d’onore”. Proseguendo con una miriade di modi in cui i bambini erano stati trovati dalle stesse Suore o dalle autorità palestinesi e poi portati li. “Uno l’hanno trovato con una copertina fuori alla chiesa della Natività e ce lo hanno subito portato”. “Ad un altro, poverino, le formiche gli stavano mangiando la faccia” e così via. Un mare di storie strappalacrime a cui Suor Maria sembra non dare più il peso che invece assumono per me ascoltandola, stupita dalla sua tranquillità.
Sapevo già che in molti paesi arabi la questione dell’aborto è molto complessa. Infatti, molte donne in Palestina quando scoprono di essere incinta, prima del matrimonio oppure nel peggiore dei casi a causa di incesti e stupri, si traferiscono a Betlemme con la scusa di guadagnare qualcosa per la famiglia. Partono prima che la pancia si noti e tornano a casa dopo aver partorito. Per rendere il tutto più credibile la Crèche, come altri istituti di Betlemme, assume le donne per dei piccoli lavoretti durante la loro permanenza in modo da poter portare a casa le prove della loro partenza e non creare timori e dubbi.
Alla dipartita delle donne, la Crèche accoglie i nascituri fino al diciottesimo anno di età salvo casi di tutela. Nell’Islam infatti non esiste il concetto di adozione, i bambini in tutela non prendono il cognome della famiglia che il accoglie, ma tre cognomi che terminano con Allah, un marchio che li fa restare per tutta la vita “figli di nessuno”.
La Crèche sembra un luogo ideale in cui questi “figli di nessuno” possono ricevere l’amore che le parole limitanti sono in grado di togliere. Un luogo in cui ci sono stanzone enormi piene di giochi e muri colorati, riempite da infiniti occhi curiosi che ti seguono e vogliono giocare a qualunque costo, in particolare i più grandi già capaci di arrampicarsi sulle gambe alla ricerca di affetto ed attenzioni. Appena siamo entrati, una ciurma di bimbe e bimbi tra i quattro ed i sei anni ci è venuta incontro urlando “Mama”. Dopo un secondo di sconforto, di empatia e di costatazioni dolorose tutto è diventato gioco, corsa e risate lasciando poi spazio a facce tristi nel momento in cui quel piacevole pomeriggio si è concluso.
“Che lavoro assurdo che fanno” ci siamo trovati a pensare, una volta fuori da quel nido di accoglienza, lontano dai giochi di potere e dalla guerra. Un lavoro che merita di essere visto e supportato. Non sarò io a dirvi quale link cliccare o dove cercare, perché sono un po’ convinta, come Suor Maria, che la provvidenza arrivi ovunque. Vi auguro solo di andarci, lì dove prima c’era solo il filo spinato e dove oggi è possibile partecipare, ognuno a suo modo, a questo processo di amore e crescita.
Articolo scritto da Carolina Lambiase e pubblicato su Fernweh