di Labiba
2023 l’anno della catastrofe
Il 2023 è un anno che difficilmente scorderemo: gli animi in rivolta risvegliati e le piazze dipinte dei colori della bandiera palestinese. Tutto a causa del terribile genocidio che sta avvenendo a Gaza da più di 70 giorni. È stato anche un anno pieno di “anniversari”, monito forse di un qualcosa che avrebbe segnato, ancora una volta, la storia della Palestina. A Maggio si sono ricordati i 75 anni dalla Nakba, evidenziando come tale catastrofe continui senza tregua dal 1948.
Nel 2023, abbiamo assistito ad un aumento esponenziale della violenza da parte dei coloni in Cisgiordania e la continua espropriazione e spostamento forzato dei palestinesi e delle comunità beduine. Abbiamo ricordato anche il trentesimo anniversario degli accordi di Oslo. Delle grandi speranze che erano state riposte, sono rimasti solo “i coriandoli della Palestina”, espressione utilizzata per intendere la frammentazione del territorio della Cisgiordania con l’introduzione di checkpoint e aree di controllo amministrativo e militare. L’Autorità Nazionale Palestinese ha dimostrato il suo fallimento e profonda corruzione con le mancate elezioni legislative assenti dal 2007.
Crisi e ascesa dell’ultradestra
Il 2023 è stato anche l’anno in cui la coalizione di Netanyahu ha espresso la sua massima identità di ultradestra con una componente di ultranazionalisti religiosi, appartenenti alle colonie, che non aveva mai fatto parte del Governo. Ha visto anche il risvegliarsi della società israeliana con intense manifestazioni contro la nuova riforma giudiziaria del paese. Questa, infatti, prevederebbe la possibilità da parte del parlamento israeliano, attraverso un voto di maggioranza semplice, di annullare le sentenze della Corte Suprema. E così, come risposta alle crisi interne, Israele spesso adotta la strategia politica di inasprire ancora di più i rapporti con la Palestina e i paesi limitrofi, colpendo ulteriormente i campi profughi come quelli di Jenin e Nablus, e incoraggiando i pogrom come quello eseguito dai coloni illegali, ad Huwara.
Questi sono alcuni degli scenari che ci hanno portato al fatidico e molto discusso 7 Ottobre. Giorno che ha visto, di nuovo, il mondo diviso tra chi supporta la Palestina (la minoranza) e chi invece supporta il diritto a difendersi di Israele.
Catastrofe umanitaria in Palestina
Il 7 Ottobre segna l’inizio dei bombardamenti sulla Striscia di Gaza. In 74 giorni sono state uccise più di 20,000 persone, tra cui 8,700 bambini. Si contano più di 50,000 feriti e quasi 8,000 scomparsi.
Questi numeri, immensi, mostruosi e difficili anche solo da leggere, evidenziano la drammatica realtà della Striscia. Un’area lunga meno di 41 km e larga tra i 6 e i 12 km, che un tempo era la casa di 2 milioni e mezzo di persone. Attualmente, circa 1,9 milioni sono sfollati interni, che si ritrovano nuovamente profughi all’interno della propria terra.
26 su 35 ospedali non sono più funzionanti, 305,000 case e 339 scuole sono distrutte e/o danneggiate. Questa è la magnitudine numerica della catastrofe umanitaria, conseguenza dei bombardamenti indiscriminati israeliani. Ma questi numeri rappresentano volti, persone, identità, luoghi che un tempo erano sicuri e accoglienti. Rappresentano le vite distrutte e interrotte, i sogni spezzati e la speranza spenta.
Questa è l’ottava operazione militare israeliana su Gaza dal 2000. A ciò si aggiunge il blocco marittimo, terreste ed aereo imposto da Israele da 16 anni, che già prima del 7 Ottobre aveva reso le condizioni di vita della striscia catastrofiche. La popolazione è ridotta alla fame, in quanto Israele continua a ostacolare gli interventi umanitari che permettono l’ingresso dei beni di prima necessità: acqua, cibo, coperte e medicine.
I prigionieri di cui nessuno parla
Se tutti conoscono e invocano pietà e liberazione per i 240 ostaggi sequestrati dai miliziani di Hamas dal 7 Ottobre, nessuno parla, conosce o tutela gli ostaggi palestinesi in detenzione amministrativa nelle carceri israeliane da molto prima di tale catastrofe. Oltre a un crescendo di arresti ingiustificati da parte di Israele, soprattutto in Cisgiordania, secondo le organizzazioni HaMoked e Palestinian Prisoners’ Club, sono stati arrestati 2200 uomini e donne palestinesi tra il 1° Ottobre e 1° Novembre.
Il dato sconcertante però è evidenziato dai 2.873 detenuti amministrativi senza processo e senza capo d’accusa, tra cui centinaia di minori rinchiusi nelle prigioni israeliane in condizioni disumanizzanti. E ancora, sono emersi video e foto che ritraggono decine di ostaggi palestinesi allineati lungo le strade di Gaza, bendati e spogliati dei vestiti fino alla biancheria. Hanno descritto i detenuti, affiancati da soldati israeliani, come guerriglieri di Hamas. Tuttavia, come riporta il Guardian, si è trattato di un rastrellamento porta a porta che ha visto il riconoscimento di tantissimi civili, tra cui un giornalista del media in lingua inglese The New Arab, Diaa Al-Kahlout, assieme ai suoi fratelli, un ragazzo di 13 anni e quattro parenti di Hani Almadhoun, dirigente dell’Agenzia delle Nazioni unite per il soccorso dei rifugiati palestinesi (UNRWA).
Restiamo umani ma non cessate il fuoco
Qual è stata dunque la mobilitazione internazionale in merito a ciò che sta accadendo in Medio Oriente? Se a livello “popolare” e di società civile abbiamo visto numerosi presidi, manifestazioni e disordini in tutto il mondo, dal punto di vista istituzionale la delusione (o forse la scontatezza) è stata immensa. Abbiamo visto un’Europa divisa e impaurita nel prendere una posizione. Un’Italia che si è astenuta ben due volte nelle risoluzioni proposte dall’Assemblea Generale dell’ONU per un immediato cessate il fuoco. E, infine, l’ipocrisia degli Stati Uniti d’America, che reclamano pace ma pongono il veto alle risoluzioni proposte dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per un intervento immediato. Ci siamo resi conto di quanto proclamarsi “a favore della pace” sia solo un altro modo per definirsi neutrali in una situazione in cui non può esserci pace senza la liberazione di un popolo oppresso e massacrato come lo è quello palestinese.
Vik (Vittorio Arrigoni) ci ha insegnato e implorato in diverse occasioni, prima della sua uccisione per mano di Israele, di restare umani e ricordarci la nostra vera essenza in quanto tali. Oggi molti, troppi, in questo mondo hanno dimenticato la loro umanità lasciando, ancora una volta, che l’inferno bruci tra le terre palestinesi. Nonostante tutto questo, oggi vogliamo invitarvi nuovamente a unirvi alla lotta perché si possa accendere una nuova speranza per la Palestina e per l’umanità.
Con amore e con rabbia: leggi, informati, agisci.