Di Martina Pia Picariello
“Non ho mai arrestato nessuno più piccolo dei 9 o 10 anni, ma solo di 14, 13, 1… però per me erano ancora dei bambini, ma venivano arrestati come degli adulti. Ogni soldato che abbia fatto servizio nei Territori Occupati Palestinesi direbbe la stessa cosa: i primi mesi, dopo che ho lasciato l’esercito, sognavo bambini ogni notte, bambini ebrei, bambini arabi. Che urlavano.
Quando li arrestavamo, li bendavamo per non far vedere loro la base e come lavoravamo. Ma in realtà noi li bendavamo per non vedere i loro occhi. Non volevamo che ci guardassero, che ci implorassero di finirla o che piangessero di fronte a noi. È molto più semplice se non li guardi negli occhi.”
Ernan Efrati – testimonianza di un membro dell’ esercito israeliano che ha lavorato in Cisgiordania BBC- agosto 2009
Questa è la drammatica realtà che dal 1967, vivono ogni anno circa 500-700 bambini e ragazzi palestinesi, arrestati e detenuti nelle carceri israeliane. I quali vengono accusati principalmente di lanciare pietre ai militari nei Territori Occupati. Un fenomeno che negli ultimi decenni, soprattutto a partire dalla Seconda Intifada, è in netto aumento. Prelevati nel cuore della notte dalle loro case, strappati alle cure dei genitori con accuse mendaci e condannati a mesi, se non anni di prigionia.
Israele: unico Paese al mondo a processare i minori in un Tribunale Militare
I Territori Occupati sono soggetti alla legge militare dal 1967, che governa ogni aspetto della vita civile palestinese in Cisgiordania e Gerusalemme Est. Questo significa che nel momento in cui un palestinese, anche se di soli 12 anni, commette un reato, verrà giudicato da un Tribunale Militare.
Ciò rende Israele l’unico Paese al mondo che automaticamente e sistematicamente perseguita dei minori in una Corte militare.
Attualmente, in Israele e nei Territori Occupati Palestinesi, Gaza e Gerusalemme Est, a seguito del 7 ottobre, vi sono circa 10.000 prigionieri palestinesi, tra cui 800 minorenni. Di questi, la maggior parte non è stata ancora sottoposta a processo ed è in detenzione amministrativa.
Dall’arresto alla prigionia: il dramma dei minori palestinesi nelle carceri israeliane
L’arresto avviene nel 60% dei casi di notte. I ragazzi vengono svegliati dalle urla e dalle istruzioni dei militari israeliani che irrompono nelle loro case. Bendano loro gli occhi e legano loro le mani con strettissimi lacci di plastica.
In seguito all’arresto, il trasferimento del minorenne da casa al luogo dell’interrogatorio avviene sul veicolo militare. Il viaggio può durare da un’ora a un massimo di 24, durante le quali non gli viene concesso né di mangiare, né di bere o andare in bagno.
Nel momento dell’interrogatorio il minore non è accompagnato né da un genitore, né da un avvocato, come previsto dal diritto internazionale. L’interrogatorio avviene con il ragazzo legato e seduto, costretto per ore in una posizione molto scomoda. Solitamente non gli viene comunicato il diritto di rimanere in silenzio e per questo dopo ore di violenza fisica (37%), minacce (56%), nel caso di giovani donne anche di violenza sessuale, violenza psicologica (31%) e isolamento (12%) il minorenne cede alle accuse e firma il documento della sua confessione, scritto in ebraico.
Dopo l’interrogatorio, solitamente entro 8 giorni dall’arresto, il minorenne viene portato con le mani e i piedi legati davanti al giudice. Dopo un ingiusto processo, ma anche nell’attesa di una sentenza (detenzione amministrativa), il minorenne è costretto a vivere in una prigione interna allo Stato d’Israele (Ofer, Megiddo, Rimonim e Damon), regolata dall’IPS (Israeli Prison Service).
Qui spesso la persona si trova in contatto con gli altri prigionieri adulti, sia palestinesi che israeliani. Le condizioni nelle quali è costretta a vivere non sono delle migliori: sovraffollamento, poca ventilazione, qualità bassa del cibo, nutrimento non sufficiente e continui maltrattamenti da parte delle guardie. A queste già difficili condizioni va ad aggiungersi l’impossibilità di assolvere i propri bisogni fisiologici con regolarità, l’assistere a torture, il denudamento, temperature estremamente calde o estremamente fredde e, in casi estremi, anche l’isolamento.
Ahed Tamimi: simbolo della resistenza palestinese
Ahed Tamimi, un’attivista palestinese di 22 anni (arrestata, nuovamente, il 28 novembre 2023), ha portato all’attenzione internazionale il fenomeno dell’incarcerazione dei minorenni palestinesi. Arrestata per la prima volta a soli 16 anni per aver schiaffeggiato un soldato israeliano. Nel 2017, Ahed è stata condannata a 8 mesi di prigione per questo gesto. Qui sperimenta la perdita di libertà ”stanze piccole, poca possibilità di movimento, ratti, scarafaggi, mancanza di areazione, negazione del diritto allo studio, mancanza di libri e aule, deprivazione del sonno”. In un’intervista Ahed dichiara:
“La prigione mi ha insegnato il giusto modo di sostenere il messaggio del mio Paese: essere paziente, stare insieme e amare la vita sempre perché quando sei in prigione senti che le cose più piccole hanno più valore. Io ho sempre detto che ciò che non uccide, fortifica.”